LA MARCIA DEI QUARANTAMILA

 

Tratto da: La storia siamo noi

 

 

Il 14 ottobre 1980, a Torino, 40.000 colletti bianchi della fiat scendono in piazza, contro gli operai

 

La marcia dei colletti bianchi della FIAT del 14 ottobre 1980 è considerata  un punto di rottura nella storia delle lotte sindacali in Italia. Per la prima volta nella storia delle proteste dei lavoratori la maggioranza silenziosa dell’industria più importante d’Italia alza la voce e dà luogo ad una manifestazione che cambierà per sempre i rapporti tra lavoratori, sindacati e azienda. La manifestazione rappresenta una dura sconfitta per il sindacato.
 

 


Ma chi sono i colletti bianchi? Da dove viene questa definizione? Il  termine colletti bianchi ha sempre identificato quei lavoratori che svolgono mansioni meno "pesanti" e spesso più remunerate di quelle manuali. Il nome deriva dalla classica camicia bianca indossata da questo tipo di impiegato. Le camicie bianche si sporcano facilmente e quindi le portano gli impegati che "non si sporcano".

Nelle industrie come la Fiat, tradizionalmente, col termine colletti bianchi si sono sempre indicati gli  impiegati di bassa e media responsabilità, che amministrano piccoli reparti o fanno i conti. Ma proprio questi lavoratori silenziosi, tra gli anni '70 e '80, cambieranno le regole in fatto di lotta sindacale. In 40.000, esasperati da cinque mesi di proteste e scioperi, scendono in piazza contro gli operai.
La loro esasperazione è esacerbata dai famosi 35 giorni in cui la FIAT e l’intera città di Torino vivono un momento difficilissimo, dovuto all'inasprimento della lotta e allo sciopero generale contro i tagli annunciati dalla FIAT.
Fra la FIAT e gli operai è  un duro braccio di ferro; gli impegati, fino ad allora nell’ombra, si ribellano e si riversano nelle strade della città, per superare il conflitto e ricominciare a lavorare. La  manifestazione di massa  impedisce un accordo tra FIAT e sindacati a favore degli operai. Nessuno se lo aspetta. È una sconfitta del sindacato e della lotta operaia.

Ma per comprendere da dove viene questa "ribellione borghese", che per molti segna una cesura nella storia del movimento operaio, bisogna ripercorrere  la storia dello scontro fra i lavoratori e la FIAT.
La lotta inizia il 9 maggio 1980, con la minaccia di cassa integrazione per 78.000 operai per 8 giorni, da parte della FIAT in crisi. Non si può capire il senso che ha la protesta per gli operai coinvolti, per la dirigenza FIAT, per il sindacato e per il PCI, se non si tiene conto di cos'è cambiato, dentro la fabbrica torinese, dopo le lotte contrattuali del 1969. Quelle  battaglie hanno messo in crisi la cultura dell'impresa, una crisi profonda, che ha rimodellato le stesse strutture della rappresentanza operaia di base e sindacale. Da quello scontro, iniziato allora e protrattosi per tutti gli anni Settanta, la FIAT e il movimento operaio torinese ne escono profondamente trasformati. I rapporti di forza in fabbrica cambiano, è aumentato il potere operaio. 

GLI ANNI 70
Gli anni Settanta sono stati  anni di conquista per gli operai, ma anche anni durissimi.
Crisi energetica, politica dell'austerity, crollo delle vendite dell’auto, e continui sciopero nelle industrie. Scioperi verso i quali i colletti bianchi  diventano sempre più insofferenti. Gli impiegati vogliono entrare in fabbrica, ma i picchetti lo impediscono. La FIAT in quegli anni appare allo sbando, la dirigenza non riesce più ad imporsi.
Ma nel 1974 ai vertici dell'industria torinese arriva Cesare Romiti, romano, 51 anni, imposto dal presidente di Mediobanca, Enrico Cuccia.
Romiti, che viene messo a capo della pianificazione finanziaria , ha la fama di uomo di polso, e per la FIAT è forse l’uomo giusto in quella atmosfera di intimidazione.
Nel malcontento degli operai trova infatti terreno fertile anche il terrorismo.
Il 29 novembre 1977, i brigatisti uccidono Carlo Casalegno, il vice direttore del quotidiano di casa FIAT,  “La Stampa”. A Genova, il 24 gennaio 1979, viene ucciso un opearaio dell’Italsider, il sindacalista della CGIL Guido Rossa. Sono le BR che lo accusano di aver denunciato un fiancheggiatore. Nel 1979, i terroristi colpiscono anche la dirigenza della FIAT uccidendo Carlo Ghiglieno. E poi numerosi agguati ai capireparto e sequestri lampo. 

Dopo l’assassinio di Ghiglieno,  la FIAT  reagisce e licenzia 61 operai,  in odore di terrorismo. Non potendo però dare questa motivazione, l’azienda addebita loro indisciplina e comportamenti scorretti. Ovviamente, per gli operai, il provvedimento è solo una prepotenza dei padroni. I sindacati si schierano con i licenziati; la tensione sale. Nell’estate dell’'80, Umberto Agnelli annuncia altri tagli. Subito arriva la reazione dei metalmeccanici, che annunciano lo sciopero generale.
Ma il colpo di scena deve arrivare con le dimissioni di Umberto Agnelli dal ruolo di amministratore delegato, il 31 luglio del 1980.
Prende il suo posto Cesare Romiti, che non è un mediatore come gli Agnelli. Il suo insediamento è il segnale che la FIAT vuole lo scontro.
Romiti avvia l’offensiva d’autunno. L’11 settembre 1980 vengono annunciati 14.469 licenziamenti. Da quell’annuncio prenderanno il via  i giorni più duri della lotta operaia alla Fiat di Mirafiori, i famosi 35 giorni.

I  35 GIORNI
La FIAT dichiara che ci sono 24.000 lavoratori  in eccesso; di questi almeno 14.000 devono essere  licenziati. La lotta sindacale si inasprisce; Cgil Cisl e Uil  vedono l'aspetto politico dell'offensiva FIAT e temono l’annientamento delle conquiste dei lavoratori.
Ma il 27 settembre cade il governo Cossiga e la FIAT blocca  i licenziamenti. Poco dopo però dà l’annuncio della cassa integrazione, a zero ore, per tre mesi di 24.000 lavoratori a partire dal 6 ottobre. Agli operai della FIAT sembra subito che l'azienda voglia decapitare, attraverso quel provvedimento, la presenza dei delegati sindacali in fabbrica. Come risposta alle liste di cassa integrazione, il Consiglio di fabbrica di Mirafiori approva una mozione che dà il via al presidio di tutti i cancelli e chiede alle confederazioni di proclamare uno sciopero generale. Dai primi giorni di ottobre davanti agli stabilimenti FIAT, è impossibile per chiunque entrare in fabbrica.

LA MARCIA DEI 40.000 COLLETTI BIANCHI.
Il 14 ottobre 1980, il Coordinamento dei capi e quadri  FIAT, convoca una assemblea al Teatro Nuovo di Torino. I colletti bianchi non si limitano a discutere; dal teatro esce un corteo silenzioso che percorre le vie cittadine. Una manifestazione di  massa, che passa alla storia come la "marcia dei 40.000". In testa Luigi Arisio, riconosciuto come il leader della protesta. L’impatto simbolico è evidente.  I "40.0000" marciatori sfilano in silenzio, con pochi cartelli graficamente ben scritti, procedono ordinatatamente  per le vie del centro con le loro giacche, cravatte, soprabiti.
Si tratta di un avvenimento che rappresenta una pagina importantissima nel mondo del lavoro; nessuno, né i sindacati  né i partiti politici lo hanno previsto. La marcia degli impiegati della FIAT segna una sconfitta della lotta operaia: all’annuncio del corteo, la FIAT, seduta nel frattempo al tavolo delle contrattazioni a Roma, non firma l’accordo che prevede la cassa integrazione a rotazione, voluta da governo e sindacati, a favore degli operai. Romiti, forte della protesta degli impiegati, non accetta l'accordo. Una sconfitta che anche Luciano Lama, segretario della CGIL, deve ammettere.
Gli operai sosterranno, che è stata la scaltra dirigenza FIAT ad organizzre la manifestazione, chiamando gli impiegati uno per uno.  Ma pilotata o no, la marcia dei 40.000 è il grido di dissenso di una maggioranza, fino ad allora rimasta silenziosa. Un grido a cui non si puo' non dare ascolto.

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