Il genocidio dei Rom (II)

 

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Fonte: Liceo Cavour

Federica Dadone

Liceo classico “C. Cavour”

Classe III B

 

“I figli cadevano dal calendario/Yugoslavia Polonia Ungheria/I soldati prendevano tutti/E tutti buttavano via” (parole tratte da “Khorakhanè”, brano dell’album “Anime salve”): nel piccolo coro in ricordo dei gitani morti la voce di Fabrizio De Andrè si distingue per leggerezza e precisione. Ma di fatto, i figli del vento cominciarono a cadere molto prima del ciclone nazista. Gli zingari sono da sempre una razza perseguitata, periodicamente condannata ai campi nomadi, all’allontanamento, all’identificazione forzata. La loro è una storia infinita di persecuzioni, poco studiata e ancor meno conosciuta.

Con l’appellativo “zingari” sono designate quelle popolazioni nomadi provenienti dall’est, ma che affondano le loro radici nel territorio indiano: si è potuti risalire alle loro origini studiando la derivazione sanscrita della lingua zingara. Tra il XIV e il XV secolo le migrazioni dalla valle dell’Indo di queste popolazioni interessarono il continente europeo, toccando prima il mediterraneo orientale, poi tutta l’Europa centrale, in particolare la Germania, ma qui la permanenza per molti fu brevissima: ulteriori dispersioni portarono a insediamenti in Francia, Belgio, Italia, Spagna e in Nord Europa. La loro diffusione fu completa con la penetrazione, nel XVI secolo, in Scandinavia e Russia. Era un secolo di innovazione, in cui le scoperte geografiche giocarono un ruolo determinante nello scacchiere politico del vecchio continente. Gli zingari, nuovo e spinoso problema per le principali potenze europee, divennero oggetto di frequenti deportazioni nelle terre d’oltremare. Nonostante l’eccessiva dispersione e la disgregazione dei vincoli parentali, linguistici e sociali, la comunità zingara è riuscita a conservare nel tempo una propria unità ed una propria identità che prescinde dai confini geografici. Una coesione che eleva la comunità zingara a popolo senza territorio proprio ma con caratteri culturali comuni che la qualificano come minoranza transnazionale. Una minoranza particolare, la cui atipicità ed unicità risulta immediatamente riscontrabile anche dal problema legato alla sua corretta denominazione. In Italia il nome più diffuso è ancora oggi “zingaro”: sebbene l’origine di questo eteronomo sia piuttosto incerta, tale denominazione si è rapidamente diffusa in tutta Europa: in Francia si parla di “tsiganes”, in Germania di “Zigeuner”, in Svezia di “Zigenare”. In altri Paesi europei a prevalere è un’altra teoria etimologica che considera gli zingari come originari dell’Egitto: da questo derivano termini come “gypsies” in inglese o “gitanos” in spagnolo. La confusione linguistica cui tali definizioni hanno dato origine portarono ad un lungo dibattito per individuare un nome politicamente corretto che non offendesse la comunità zingara: l’orientamento comune è così caduto sulla parola “rom”. I “rom”, con i “sinti” ed i “kalé”, costituiscono il gruppo etnico più numeroso ed antico nel variegato e complesso panorama zingaro. “Rom” non significa altro che “uomo”: è un termine di origine indiana, ben accetto, per la sua natura non offensiva, dalla stessa comunità zingara.

Le comunità più numerose che mantennero il tradizionale modo di vivere nomade si costituirono in Jugoslavia, Romania, Ungheria, Germania, Francia, Italia, e soprattutto Spagna: nel corso dei secoli si sono fusi con le genti locali dando origine a gruppi misti sedentari o girovaghi. I Rom puri mantengono, però, inalterate le proprie usanze e tradizioni.

Nella storia i Rom furono sempre e comunque isolati dagli abitanti dei Paesi che attraversarono: questo accentuò il carattere indipendente e l’unità di stirpe di questo popolo e ne caratterizzò sempre più il modo di vivere da girovaghi. Nonostante siano genti pacifiche dallo spiccato senso dell’ospitalità, sono stati sempre trattati in modo ostile e spesso sono stati vittime di persecuzioni.

Su questa base, fatta di secoli di pregiudizi e persecuzioni, si instaura il nazismo, che ne costituisce l’atroce culmine.

L’olocausto è generalmente considerato un’esperienza esclusiva della comunità ebraica. Una convinzione rimasta per lungo tempo ben radicata nella memoria di molti a causa delle scarse informazioni legate all'analogo destino dei rom: un popolo sempre perseguitato e, anche per questo, ignorato e dimenticato dalla memoria e dalla storia delle dittature nazifasciste.
Accusati, come gli ebrei, di invadere lo spazio vitale tedesco, i rom furono etichettati come il non plus ultra della regressione umana. Una credenza rafforzata da stereotipi centenari e da distorte considerazioni legate alle loro origini geografiche.
La matrice indo-europea degli zingari si rivelò inaccettabile per i teorici dell’arianesimo che individuarono, proprio nella stessa area geografica, la culla della mitica stirpe di Ario.
I rom, quindi, avevano la stessa origine geografica degli ariani. Per cancellare questo irriverente controsenso, il nazismo bollò i rom come "ariani decaduti" meritevoli di uno sterminio totale.
In questo scenario venne perpetrato il Porajmos: l’olocausto dei rom che costò la vita a circa cinquecentomila zingari sterminati dal fanatismo e dalla folle sete di conoscenza di numerosi pseudo-scienziati del Terzo Reich: vittime del nazionalsocialismo e dei suoi folli progetti di dominazione razziale.

Della storia dello sterminio degli zingari si sa molto poco, troppo poco: è una storia dimenticata e offesa dalla mancanza di attenzione di storici e studiosi. Ancora oggi la documentazione risulta frammentaria e la relazione dei fatti lacunosa. Normalmente si tralascia questa vicenda, o, nel migliore dei casi, se ne accenna in lavori che si occupano del Terzo Reich o dell’Olocausto in generale, includendo gli zingari fra le vittime per poi tralasciare cause e conseguenze della loro persecuzione. Eppure l'argomento dovrebbe suscitare interesse anche solo per il fatto che la persecuzione degli zingari in epoca nazista risulta essere l'unica, ovviamente con quella ebraica, dettata da motivazioni esclusivamente razziali: proprio come gli ebrei, infatti, gli zingari furono perseguitati e uccisi in quanto «razza inferiore» destinata, secondo l'aberrante ideologia nazionalsocialista, non alla sudditanza e alla servitù al Terzo Reich, ma alla morte.

Ma proprio questo è il nodo centrale del problema. Per molto tempo dopo la guerra, infatti, lo sterminio nazista degli tzigani non è stato riconosciuto come razziale ma lo si è considerato conseguenza, in un certo senso anche ovvia, di quelle misure di prevenzione della criminalità che, naturalmente, si acuiscono in tempo di guerra. Una tesi che trova fondamento nella definizione di «asociali» con la quale, almeno nei primi anni del potere hitleriano, gli zingari erano indicati nei vari ordini e decreti che li riguardano. Ma la terminologia nazista non è sempre esplicativa dei fatti: in questo caso il termine «asociale» viene usato per indicare coloro che, per diverse ragioni, non sono integrabili o omologabili col nuovo ordine nazionalsocialista. Gli stessi ebrei nei primi tempi venivano deportati e registrati come «asociali». È sulle ragioni di questa «asocialità» che bisogna indagare.

In realtà gli zingari furono perseguitati, imprigionati, seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici, gasati nelle camere a gas dei campi di sterminio, perché zingari e, secondo l'ideologia nazista, «razza inferiore» , indegna di esistere. La pericolosità - o asocialità - tzigana non era, infatti, assimilabile a quella degli altri individui perseguitati per ragioni di ordine pubblico. Gli zingari erano geneticamente ladri, truffatori, nomadi: la causa della loro pericolosità era nei loro geni, nel loro sangue, che li rendeva “irrecuperabili” condannandoli quindi allo sterminio, alla cosiddetta “soluzione finale”.

Va comunque tenuto presente che, sebbene le fonti siano scarsissime, basate soprattutto su testimonianze orali, almeno per ciò che riguarda il nazismo (grazie soprattutto all’impegno della studiosa ebrea Miriam Novitch, che dedicò gran parte della sua vita a raccogliere documenti sullo sterminio del popolo Rom), esiste oggi una documentazione sufficiente a dimostrare che gli zingari sono stati fra le vittime dello sterminio razziale e che almeno 500.000 di loro sono morti nei Lager, dopo essere stati imprigionati, torturati e violentati come tutti gli altri prigionieri. Altri sono stati uccisi nelle esecuzioni di massa nei Paesi dell’Est, ma su questo i dati sono davvero scarsissimi.

Non si può invece parlare di ricerca per quel che riguarda l’Italia, dove le conoscenze sulla persecuzione degli zingari durante il fascismo sono poche e contraddittorie e si basano quasi esclusivamente sulle testimonianze raccolte nel dopoguerra da pochi studiosi che si sono occupati della deportazione degli zingari, senza mai ricevere la dovuta attenzione: tra di essi spicca la figura di Mirella Karpati, del Centro Studi Zingari, che ha raccolto quasi tutta la documentazione orale oggi disponibile. I dati storici raccolti ad oltre cinquant’anni dai fatti sono scarsi, tanto da non permettere ancora di stabilire con certezza come e quanto gli zingari siano stati perseguitati nell’Italia fascista e per quali ragioni. Un’altra studiosa che, negli ultimi anni, si è occupata molto della questione tzigana, pubblicando numerosi articoli su riviste come “Triangolo Rosso” e “Studi Storici”, è Giovanna Boursier.

Quella che i nazisti chiamarono «questione zingara» è presente fin dai primi anni del potere hitleriano.

In realtà, già prima dell'ascesa al potere del nazismo, e non solo in Germania, ma in tutta Europa, esisteva una legislazione sugli zingari orientata - in generale - prima al controllo e all'identificazione degli individui presenti sul territorio, poi alla loro omologazione e assimilazione. Nella Germania guglielmina e nella Repubblica di Weimar - analogamente a ciò che accadrà durante i primi anni del regime nazista - la «questione zingara» era affidata quasi esclusivamente alle autorità di polizia locali col compito, sostanzialmente, di far rispettare regole e doveri: gli zingari dovevano lavorare e smettere la vita nomade. Le leggi, inoltre, imponevano loro di possedere carte di identificazione particolari e permessi di soggiorno o sosta in determinati luoghi, concessi a un numero limitato di persone. Nel 1899 la polizia bavarese creò una Sezione Speciale per gli affari relativi agli Zingari. Da questo ufficio vennero raccolti i numerosissimi verdetti di colpevolezza emessi dalle corti di giustizia nei loro confronti. Questa sezione nel 1929 diventò un centro nazionale ed ebbe il suo centro principale a Monaco di Baviera: da questo momento in poi agli zingari fu vietato trasferirsi da una sede ad un’altra senza avere il permesso della polizia. Gli zingari di età superiore ai 16 anni che non potevano dimostrare di avere un lavoro venivano condannati a due anni di lavoro in riformatorio.

La persecuzione nazista degli zigani si inserisce quindi in una storia di discriminazioni lunga secoli, che però solo nell'ambito del potere nazionalsocialista poté trovare espressione tanto radicale e violenta. Inoltre in Germania era particolarmente viva e radicata quella corrente di pensiero che si potrebbe definire «razziale» , che dalle elaborazioni teoriche neoromantiche di fine Ottocento sfociava in quelle più impregnate di esaltazione nazionalpatriottica e misticismo, fino a definire il popolo tedesco come popolo eletto, portatore di una missione purificatrice della razza o, più in generale, dell'intera umanità.

Con l'avvento del nazismo, nel 1933, le misure nei confronti degli zingari si inasprirono: coloro che non potevano dimostrare di avere la cittadinanza tedesca vennero deportati, altri internati come “asociali”. Numerosi scienziati, medici, avvocati, legislatori, professori universitari, si posero al servizio del Reich per elaborare e soprattutto giustificare teorie e atti della politica razziale nazionalsocialista. In base all'assunto per cui esistevano razze superiori e razze inferiori, le prime con il diritto/dovere di dominare e annientare le altre, al Terzo Reich, e alla persona del Führer in particolare, venne affidato il compito supremo di purificazione del mondo. Fra le razze inferiori, da sempre - e, comunque, erroneamente anche dal punto di vista assurdo dei razzisti – vi era quella zingara.

Nel 1936 il dottor Hans Globke, uno dei curatori delle leggi di Norimberga, dichiarò: “Gli zingari sono di sangue straniero”. Il professor Hans Guenther, incapace di dimostrare che gli zingari non appartenessero alla razza ariana, li inserì nella categoria degli “Rassengemische”, ossia di coloro che appartenevano ad una mistura indeterminata di razze.

Lo studio delle caratteristiche razziali degli zingari divenne soggetto di studi per tesi di laurea: Eva Justin, assistente del Dottor Ritter del Ministero per la ricerca della salute della razza, dichiarò, discutendo la sua tesi, che “gli zingari sono molto pericolosi per la purezza della razza tedesca”. Inoltre, dopo aver esaminato 148 bambini abbandonati in orfanotrofio, elaborò una teoria sulla presenza, nel sangue zingaro, del gene dell’ “istinto al nomadismo”, segnando così il destino di migliaia di persone.  Lo stesso Ritter aveva espresso tesi di questo genere: “Gli zingari risultano come un miscuglio molto pericoloso di razze deteriorate che ha ben poco a che fare con gli zingari originari”; “La questione zingara potrà considerarsi risolata solo quando il grosso di questi ibridi tzigani, asociali e fannulloni sarà radunato in campi di concentramento e costretto al lavoro, e quando l’ulteriore aumento di queste popolazioni sarà definitivamente impedito”.

La situazione degli zingari peggiorò con il decreto del 14 dicembre 1937 in cui si affermava che gli zingari erano inveterati criminali. Verso la fine del 1937 e durante il 1938 ci furono arresti su vasta scala e fu creata una sezione speciale per gli zingari nel campo di concentramento di Buchenwald. Si possono trovare nomi di zingari nelle liste delle vittime di molti campi di concentramento, quali Mauthausen, Gusen, Flossemburg. Molte donne zingare vennero sottoposte ad esperimenti medici nel campo di Ravensbruck.

Nel 1938 Himmler fece trasferire la Sezione Speciale che si occupava degli zingari da Monaco a Berlino. Himmler stabilì che gli zingari dovessero essere classificati in questo modo: zingari puri (Z), zingari nati da matrimoni misti con predominanza di sangue zingaro (ZM+), zingari nati da matrimoni misti con predominanza di sangue ariano (ZM-), misti con metà sangue zingaro e metà ariano (ZM).

Nel suo studio “La Germania e il genocidio” lo storico Joseph Billing identifica tre modi per perpetrare il genocidio: la sterilizzazione, la deportazione, l’omicidio. Nei confronti del popolo zingaro, i nazisti fecero ricorso ad ognuno di questi mezzi.

Nell'ambito della metodica e scientifica programmazione dello sterminio nazista, la sterilizzazione rappresentava un metodo di annullamento lento ma sistematico di intere popolazioni, dilazionato nel tempo ma ugualmente sicuro: milioni di individui castrati avrebbero costituito un esercito di lavoratori definitivamente inoffensivi e morti in potenza. Molti sostenevano la necessità di “Castrare in massa i ragazzi zingari al compimento dei dodici anni di età”. Le donne zingare sposate con ariani vennero sterilizzate presso l’ospedale di Dusseldorf-Lierenfeld, ed alcune di esse morirono perché furono sottoposte al trattamento di sterilizzazione mentre erano incinte. Nel campo di Ravensbruck 120 ragazze furono sterilizzate da medici delle SS. Ancora nel 1945, ad Auschwitz, il professor Clauberg sterilizzò circa 130 zingare appositamente trasferite in quel lager.

Si può quindi dire che la sterilizzazione degli zingari fu largamente praticata durante tutti gli anni del nazismo, prima negli ospedali, poi nei campi di concentramento. Molti zingari vennero effettivamente sterilizzati, spesso costretti all'alternativa (che poi non era affatto tale) tra sterilizzazione e internamento: esiste una documentazione abbastanza ampia su casi di donne zingare costrette a firmare le autorizzazioni all'intervento, la stessa documentazione utilizzata dopo la guerra come alibi dai responsabili.

Nel giugno 1936 una circolare del ministero degli Interni affida la «lotta contro la piaga zingara» direttamente alle autorità di polizia, sollecitate a provvedere per la soluzione della questione: si chiede che attraverso leggi speciali e «particolarmente attraverso strumenti polizieschi» si operi concretamente sul problema. È in questo momento che iniziano le deportazioni.

Le prime sono documentate a Dachau dove giunge un trasporto di circa un centinaio di zingari. Nello stesso anno, con lo scopo di « ripulire» la città di Berlino in occasione dei giochi olimpici, 600 zingari vengono confinati a Marzahn - un'ex discarica dove le condizioni di sopravvivenza risultano preoccupanti per le stesse autorità -, che poco tempo dopo verrà dichiarato ufficialmente campo di concentramento. Nel 1937, su pressione diretta del partito nazista, viene istituito anche il campo per zingari di Francoforte sul Meno.

La corrispondenza tra le diverse autorità del Reich rivela inoltre che tra il 1933 e il 1939 quasi tutti i sindaci, le autorità di pubblica sicurezza e gli amministratori locali si preoccupano di sollecitare le autorità centrali per «la costruzione di campi di concentramento per zingari» , o per «l'erezione di nuovi campi di lavoro per zingari».

Ecco la testimonianza di un sopravvissuto, Saul Friedländer, professore di storia della Shoah:

"Nel maggio 1936, durante i preparativi ai Giochi Olimpici, la polizia di Berlino arrestò centinaia di Zingari e trasferì intere famiglie con roulottes, cavalli e quanto possedevano negli accampamenti di Marzhan, fra una discarica di rifiuti e un cimitero. L'accampamento ben presto fu circondato di filo spinato: venne creato di fatto un campo di concentramento nella periferia di Berlino. È da Marzhan e dagli altri sobborghi di Berlino e delle altre città tedesche che qualche anno più tardi partirono migliaia di zingari verso i campi di sterminio".

Un po' ovunque, quindi, gli zingari vengono radunati in luoghi particolari, non necessariamente recintati ma controllati a vista dalla polizia, sottoposti al lavoro forzato, quasi senza cibo, esposti al freddo, al gelo e alla morte continua.

I presupposti istituzionali per un'azione unificata e centralizzata contro gli zingari in quanto tali vengono esplicitati da Himmler, che, nominato capo della polizia tedesca al ministero degli Interni nel giugno del 1936, in breve tempo rende la «questione zingara» centrale nell'ambito della politica razziale del Reich. Il 16 maggio 1938, infatti, Himmler annette la Centrale del Reich per la lotta alla piaga zingara all'Rkpa di Berlino, cioè alla Centrale della polizia criminale del Reich. È un atto significativo: in questo modo la questione del «disordine zingaro» viene sottratta alla giurisdizione dei singoli Länder e delle autorità locali e posta sotto il controllo diretto della polizia criminale del Reich. Dal 1939 sarà istituita anche una sezione della polizia criminale col compito peculiare di «combattere la piaga zingara» , che estenderà nuovamente tutti i compiti alle autorità locali, ma con lo scopo, questa volta, di intensificare le persecuzioni.

Il 1938 è un anno cruciale per la storia dello sterminio degli zingari: Himmler emana un decreto fondamentale sulla «questione zingara» , che riassume e rende esplicite tutte le direttive precedenti. È la prima legge contro gli zingari in quanto tali. Si intitola, appunto, “Lotta alla piaga zingara” e stabilisce che, in base all'esperienza realizzata e alle conoscenze desunte dalle ricerche biologico-razziali, la questione va «considerata una questione di razza», con le relative distinzioni precedentemente esposte, affinché sia poi possibile affidare il problema alle autorità competenti. Queste ultime sono l'Ufficio centrale per la sicurezza dello Stato (Rsha), il ministero degli Interni e, in particolare, l'Rkpa, al quale spetta, in ultima istanza, decidere di qual «tipo» di individuo si tratti.

le successive istruzioni del marzo 1939 servono a indicare gli atti da compiere: il censimento di tutta la popolazione zingara sul territorio, un'inchiesta di biologia razziale su ogni individuo e, di seguito, l'assegnazione di un certificato delle autorità del Reich nel quale siano indicati, attraverso colori diversi, l'appartenenza alla razza zingara e il grado di miscuglio razziale dell'individuo in questione.

Il 17 ottobre 1939 l'Rsha (Ufficio principale per la sicurezza dello Stato) ordina, sottolineando lo scopo di «una soluzione imminente della "questione zingara" su tutto il territorio del Reich» , di schedare e quindi confinare tutti gli zingari in determinati luoghi dai quali è proibito loro allontanarsi. Nello stesso ordine si scrive già di campi di internamento per zingari, loro approntamento, trasporto e vettovagliamento. È, in pratica, la premessa della deportazione. Il ritmo degli arresti degli zingari tedeschi si intensifica: alla fine del mese di ottobre è documentato l'arresto di un centinaio di «cartomanti» , considerate da Himmler una minaccia concreta per il morale della nazione. Se poi il programma non viene immediatamente realizzato ciò è dovuto più agli avvenimenti concomitanti (scarsità di convogli e precedenza data alla deportazione degli ebrei) che alla mancanza di volontà. A completare il quadro il 27 aprile 1940 quando, in riferimento all’ordine dell'ottobre precedente, Himmler promulga un ulteriore decreto e ordina la deportazione di 2.500 zingari dalle zone di confine del Reich al governatorato generale: «Il primo trasferimento di zingari in direzione del governatorato generale sarà effettuato alla metà del mese di maggio con 2.500 persone raggruppate per clan» . Di seguito si indica il numero di persone che ogni comando di polizia locale deve raccogliere, dando la precedenza a coloro che risultano già schedati o, come recita il vocabolario nazista, «censiti» ; si precisa che la cifra di 2.500 persone non deve essere in nessun caso innalzata o abbassata e che, se necessario, si ricorrerà alla deportazione di altri zingari dai territori vicini.

Alcuni studiosi hanno sostenuto che queste deportazioni erano motivate da ragioni militari, di sicurezza e ordine, perché gli zingari praticavano lo spionaggio. Ciò sarebbe in aperta contraddizione proprio con l'indicazione delle cifre, dovuta invece alla disponibilità di convogli e alle necessità del Reich. Tali indicazioni numeriche, quindi, possono piuttosto suffragare l'ipotesi di un progetto preciso sulla «questione zingara» e della sua messa a punto che per il momento prevedeva questo e non altro. Del resto, in vista dell'imminente campagna dell'Est, non è casuale nemmeno l'indicazione dei luoghi della deportazione: 1.000 persone dalla zona Bremen/Amburgo, altre 1.000 da Dusseldorf, Koln e Hannover e 500 dalla regione di Francoforte sul Meno/Stoccarda.

Le deportazioni ebbero inizio a maggio e si svolsero più o meno secondo i piani, anche se furono necessari trasporti supplementari. Sulla sorte dei deportati si sa qualcosa: alcuni arrivarono in Polonia e furono rilasciati dalle autorità del luogo che non sapevano cosa fare, altri furono imprigionati in campi di raccolta o in ghetti, sotto il controllo delle SS, come a Belzec, Radom, Kielce, Kryckow, e utilizzati per il lavoro forzato, molti proseguirono verso i campi di sterminio, altri ancora vennero uccisi nelle esecuzioni sommarie di massa compiute dalle SS in tutti i territori occupati.

Con la fine dell'anno la deportazione degli zingari verso la Polonia cessa e le motivazioni sono di vario ordine: la scarsità dei convogli; le continue rimostranze delle autorità polacche per l'enorme numero di prigionieri affluiti; il fatto che la schedatura degli zingari non fosse ancora terminata; la necessità di approntare un piano dettagliato sulla loro sorte. Soprattutto, questa pausa nelle deportazioni di zingari, è motivata dalla necessità di dare assoluta precedenza a quelle degli ebrei: le loro case servivano infatti per il piano di ripopolamento tedesco delle zone polacche, affidato da Hitler ad Himmler nell'ottobre del 1939.

La prima politica di deportazione degli zingari diventa così di lungo termine. Restano i campi di concentramento già esistenti e gli zingari già imprigionati.

Gli zingari vengono anche definitivamente assimilati agli ebrei nell'annullamento dei diritti personali, con provvedimenti che riguardano la loro espulsione dalle scuole tedesche, il divieto di sposare cittadini tedeschi, il loro esonero dalla carriera militare, l'esclusione dall'assistenza medica e dalla retribuzione festiva per i lavoratori, peraltro già congedati dalle fabbriche belliche o da altri impianti di interesse strategico.

Con l'attacco all'Unione Sovietica si evidenzia e si fa sempre più violenta la politica di sterminio. Facendo delle esecuzioni di massa il loro metodo principale, le Einsatztruppen e le truppe di occupazione intensificano la loro campagna di morte contro gli zingari anche in Russia, negli Stati balcanici e in tutto l'Est. Prima di tutto gli zingari vennero raggruppati insieme, ma questo fu facile perché fin dal 1938 la polizia possedeva gli elenchi con i loro indirizzi, e quindi assassinati durante azioni di fucilazioni di massa.

All'inizio del 1941 un trasporto di 5.007 zingari arriva nel ghetto Lodz: le condizioni di vita nel ghetto erano così insopportabili che nessuna comunità avrebbe potuto sopravvivere. Quasi tutti i prigionieri muoiono durante l'inverno per un'epidemia di tifo petecchiale, e i superstiti, nel gennaio dell'anno successivo, vengono trasferiti a Chelmno e qui gasati.

Gli zingari vengono perseguitati e imprigionati anche negli altri territori conquistati e occupati dai nazisti: Francia, Belgio, Olanda, Jugoslavia, Italia. Vengono deportati nei campi di concentramento, costretti al lavoro forzato, uccisi, se non dal freddo o dall'inedia, dalle SS. Il 31 luglio 1942, ad una richiesta da parte delle autorità polacche circa il comportamento da tenere verso gli zingari, il ministero per i Territori occupati dell'Est risponde che per il momento valgono le stesse regole date per gli ebrei.

Il 1942 rappresenta un altro momento cruciale di questa storia. Nel giro di un anno la Germania, che aveva raggiunto l'apice della potenza e della politica di dominazione, deve rivedere i propri piani, mentre la tendenza della guerra si inverte. Va anche ricordato che nel gennaio del 1942 si tiene la conferenza di Wannsee, in cui si decidono i mezzi e i metodi della «soluzione finale».

Il 16 dicembre 1942 Himmler firma l'ordinanza per la deportazione degli zingari ad Auschwitz, uno dei più noti campi di sterminio. Si stabilisce anche che, per quanto possibile, gli zingari vengano internati senza dividere le famiglie. L'operazione dovrà partire «il 1° marzo del 1943 e terminare entro la fine del mese» .

È un decreto fondamentale perché comprende l'intera storia della deportazione e dello sterminio degli zingari. Vi ritroviamo, riassunte, tutte le elucubrazioni sulla razza zingara, dalla questione, sollevata da Himmler, della purezza di certi gruppi, alla identificazione di tutti gli altri come razza impura e indegna di vivere. Inoltre si affida l'intera operazione alle autorità di polizia e si stabilisce non solo che gli zingari devono essere tutti internati ma che il luogo del loro trasferimento sia Auschwitz. Il fatto che l'intera operazione debba concludersi entro il mese è probabilmente ancora una volta da collegare ai tempi imposti dalla guerra. Due giorni prima di questo decreto, infatti, Himmler aveva chiesto all'Rsha una fornitura di almeno 35.000 uomini abili al lavoro da destinare ai lager. L'Rsha rispose dicendo di aver solo 10/15.000 ebrei disponibili. Lo stesso giorno Himmler ordina l'internamento degli zingari.

I rastrellamenti iniziano nel mese di febbraio. Le operazioni proseguono rapidamente e massicciamente. Persino ospedali e orfanotrofi vengono perquisiti. Le SS circondano gli accampamenti o i campi di raccolta e rastrellano tutti i presenti, spesso dicendo loro che sarebbero stati trasportati in una colonia in territorio polacco. In una testimonianza si legge:

“Il 9 marzo 1943, 134 zingari, uomini, donne e bambini, furono svegliati nell'accampamento di Berleburg . Furono ammassati nel cortile di una fabbrica e privati di ogni avere; furono caricati in carri bestiame e avviati ad Auschwitz. Ne sopravvissero 9. Gli zingari venivano prelevati addirittura dai posti di lavoro e deportati immediatamente. Ogni gerarca aveva un'interpretazione sua da dare. Taluni separavano i genitori dai figli, inviando i primi nei lager e lasciando i secondi sul posto, e viceversa.”

Nei campi di concentramento, probabilmente proprio in quanto considerati di razza pura degenerata, gli zingari vengono spesso utilizzati come cavie negli esperimenti medici e di sterilizzazione. Ci sono molte testimonianze in questo senso. 

Josef Mengele, il visionario e folle "angelo della morte" di Auschwitz, si macchiò, all’interno della baracca numero 32 di Auschwitz-Birkenau, di alcuni dei più efferati crimini del Reich nazista. Era noto come Mengele continuasse a lavorare molto anche sui cadaveri delle sue povere vittime. L'allora fattorino diciottenne del blocco malati di Auschwitz-Birkenau, Helmut Clemens, ricorda così alcuni momenti di quella tragica esperienza.

"La sera dovevo tirare fuori i cadaveri da una capanna, dove venivano ammucchiati, annotare il numero sul braccio e portarne alcuni al dottor Mengele. Egli ne sezionava qualcuno. Sugli scaffali c'erano dappertutto recipienti di vetro, che contenevano organi: cuori, cervelli, occhi e altre parti del corpo umano."

Mengele trattava personalmente con le sue vittime, torturandole ed uccidendole, con letali iniezioni al cuore o attraverso l'inoculazione di virus mortali, in nome del progresso scientifico. Il dottor Mengele compiva molti dei suoi agghiaccianti esperimenti sui bambini zingari, in particolare sui gemelli. Emblematica, in tal senso, una nuova testimonianza dello stesso Clemens.
"Ero con Mengele anche quando cercava gemelli per gli esperimenti. Dovevo portarglieli e lui dava loro un numero extra. Durante gli esperimenti non dovevo essere presente, mi mandava sempre fuori. Una volta per caso ero là con lui e ho visto che iniettava un liquido nei loro occhi, che diventavano enormi. Pochi giorni dopo ho visto gli stessi ragazzi morti."

Una delle sue cavie fu Barbara Richter, che ha lasciato un'intensa testimonianza sulla sua vicenda:

“Il dott. Mengele mi ha presa per fare esperimenti. Per tre volte mi hanno preso il sangue per i soldati. Allora ricevevo un poco di latte e un pezzetto di pane con il salame. Poi il dott. Mengele mi ha iniettato la malaria. Per otto settimane sono stata tra la vita e la morte, perché mi è venuta anche un'infezione alla faccia [...].”

La particolare predilezione di Mengele per gli zingari dalle caratteristiche "insolite" può essere sottolineata dalla testimonianza di Ceija Stojka, una reduce, allora decenne, sopravvissuta alle terribili selezioni di Auschwitz.             

"Mia madre mi ha sempre detto: ‘se vengono le SS, non aprire gli occhi, guarda sempre in basso!’ Mia madre aveva gli occhi di un azzurro intenso e io li ho verdi. Che cosa sarebbe stato per loro! Come, una zingara con gli occhi verdi? La mamma mi ha detto: ‘devi sempre guardare giù e soprattutto nasconditi! È la cosa migliore.’ Ed è stato un bene, altrimenti non sarei qua. Meno uno andava in giro e si mostrava fuori, tante più possibilità aveva."

Persino il giorno della gasazione finale degli zingari, Mengele prelevò ancora i corpi di dodici coppie di gemelli zingari per sottoporli a sperimentazione.

Ma gli esperimenti sui Rom non venivano compiuti soltanto ad Auschwitz. Nell'udienza datata 7 gennaio 1947 davanti al tribunale di Norimberga, Henry Grandjean, infermiere a Natzweiller, descrive la sua esperienza.                     

"Sono stato mandato al blocco 5 proprio per controllare la temperatura ed il polso di cinque soggetti che erano stati mandati nella camera a gas ed erano sopravvissuti. Ho potuto parlare a uno o due di loro. Uno dei sopravvissuti era uno zingaro, e mi disse di essere stato preso insieme a quindici suoi compagni e messo in una camera a gas per certi esperimenti a Struthof. Le SS avevano dato loro delle capsule che essi dovevano spezzare, a un segno dall’esterno. Dopo qualche tempo, la porta era stata aperta e i cinque sopravvissuti erano stati condotti al blocco 5, camera 2, per restarvi in osservazione. Io avevo ricevuto l’ordine di prender loro la temperatura tre volte al giorno. Quanto agli altri dieci soggetti che avevano subito l’azione del gas, erano tutti morti. I loro compagni sopravvissuti me lo dissero: ‘alcuni di loro furono sottoposti ad autopsia dal dottor Bogaerts di Bruxelles. Sui loro corpi apparivano i segni dell’edema polmonare’".

Anche il sopravvissuto Gerrit Hendric, internato a Buchenwald, Dachau e Natzweiller, ricorda, nell'udienza del 30 giugno 1947, che proprio in quest'ultimo campo, per mano del dottor Hagen, si effettuavano regolarmente esperimenti su prigionieri zingari.

"(Il dottor Hagen) portava l’uniforme dell’aviazione con l’insegna del bastone di Esculapio; venne per la prima volta a Natzweiller nell’ottobre del 1943, poco tempo dopo l'arrivo di un contingente di zingari da Birkenau presso Auschwitz, per gli esperimenti sul tifo. Hagen li esaminò e li sottopose ai raggi X; si accorse che non poteva utilizzarli e protestò a Berlino, chiedendo soggetti più vigorosi, ma sempre zingari".

Punto centrale di numerosi esperimenti era lo studio delle reazioni umane a contatto con l’acqua di mare. In particolare si cercavano risposte sulla possibile potabilità della stessa. Un’idea che avrebbe risolto tutti i possibili problemi dei piloti abbattuti e naufragati in mare. A tale proposito, molto interessante è la testimonianza dello zingaro Joseph Laubinger, vittima di tali esperimenti a Dachau.

"Chiesi al professor Beiglbock (medico a Dachau) di escludermi da questo esperimento perché avevo subito due operazioni allo stomaco. A mio parere, il professore non chiedeva l’approvazione di nessuno. Per sette o otto giorni ricevetti delle razioni militari, poi l’acqua di mare. Diventammo tutti molto deboli, potevamo appena reggerci in piedi. Abbiamo bevuto quest’acqua per undici o dodici giorni; mi fecero una puntura al fegato e una puntura lombare. Al termine degli esperimenti non fui esaminato. Abbiamo ricevuto del cibo speciale soltanto per un giorno. Il professor Beiglbock ci aveva promesso delle razioni supplementari e un lavoro facile, ma non lo rivedemmo quando gli esperimenti furono terminati. Alla fine degli esperimenti ho chiesto di poter nuovamente lavorare, perché avevo paura di ricevere un’iniezione all’ospedale durante la convalescenza, ma mi ammalai mentre lavoravo e se il Kapò non fosse stato buono con me probabilmente oggi non sarei qui".

Molto praticati erano anche gli esperimenti sul freddo. Walter Neff, in un'udienza del 17 dicembre 1946 a Norimberga, ricorda come in simili esperimenti persero la vita ben quindici zingari.     "La vasca veniva riempita d’acqua e poi si aggiungeva del ghiaccio fino ad una temperatura di tre gradi. I soggetti venivano allora immersi nell’acqua, ricoperti da una tuta da aviatore o completamente nudi. Finché Holzlöhner e Finke (rispettivamente professore e medico a Dachau) parteciparono agli esperimenti, la maggior parte di essi fu effettuata sotto anestesia, mentre durante il periodo di Rascher (altro dottore del campo) costui non la utilizzò mai; affermava che con l’anestesia non si poteva conoscere la condizione esatta del sangue e che la volontà del soggetto risultava esclusa. Passava sempre un certo tempo prima della perdita di conoscenza. La temperatura veniva misurata nel retto e nello stomaco, L’abbassamento della temperatura corporea a 32° costituiva una prova terribile per il soggetto; a 32° perdeva conoscenza. I soggetti furono refrigerati fino ad una temperatura corporea di 25°. [...] La temperatura continuava a diminuire e provocava un’insufficienza cardiaca acuta parimenti favorita dall’insufficienza terapeutica".

Almeno milleduecento deportati del campo di Dachau subirono esperimenti sulla malaria per mano del professor Klaus Schilling. Tali esperimenti dovevano provocare direttamente la morte di trenta persone ed indirettamente il decesso di altre tre/quattrocento vittime. I primi soggetti ad essere esaminati furono tutti zingari. In questa testimonianza il dottor Johann Trost, ex deportato a Dachau, ricorda quei momenti.

"Dopo essere sopravvissuto a diversi campi di concentramento, arrivai a Dachau il 25 maggio 1944. Nella sua qualità di capo del reparto esperimenti sui prigionieri, il professor Schilling ne uccideva a centinaia. Alcuni prigionieri, specialmente polacchi, russi e zingari, vi furono condotti a viva forza; dovettero lasciarsi iniettare sangue di malarici, contrassero la malaria e subirono un mucchio di trattamenti sperimentali che non erano basati sulla normale terapia della malaria"

Sulla presenza degli zingari nei campi di concentramento esiste una documentazione frammentata, ma sufficiente a testimoniare della loro prigionia un po' ovunque. Erano contrassegnati dal triangolo nero degli «asociali» spesso affiancato dalla lettera «Z» , per «Zigeuner», Zingari. La loro presenza risulta documentata a Dachau, a Lachenback, a Majdanek, a Mauthausen, a Buchenwald, a Ravensbrück, a Treblinka e anche a Sobibor, Belzec, Gross-Rosen, Gusen, Natzweiler, Theresienstadt.

Un sopravvissuto, Eugène Kogon, ricorda una brutalità compiuta nei confronti di uno zingaro all’interno del campo di Buchenwald.

"Nella primavera del 1938 il comandante Kock fece rinchiudere uno zingaro, che aveva tentato di fuggire, in una grande cassa con una faccia costituita da una larga rete di filo di ferro, Poi Kock fece piantare nelle assi dei lunghi chiodi che, ad ogni movimento del prigioniero, gli penetravano nelle carni. Così ingabbiato, lo zingaro venne esposto davanti a tutto il campo. Senza cibo, trascorse due giorni e tre notti sullo spiazzo dell’appello; le sue urla non avevano più nulla di umano. Al mattino del terzo giorno lo liberarono da quel supplizio facendogli una iniezione di veleno."

Normalmente, coloro che tentavano di fuggire venivano giustiziati presso il Muro della Morte.

Hermine Horwath racconta un altro terribile scenario nel campo di Birkenau.

"Non era solo la fame ad uccidere i bambini. Dovevamo stare in piedi per ore fuori al freddo, quasi nudi sotto la pioggia e la neve, con i nostri bambini. Morivano come mosche. Noi zingari dovevamo essere tutti distrutti. Ci tormentavano. Spesso dovevamo saltare per ore, sdraiarci nelle feci. Per noi era molto duro dover stare nude davanti agli uomini delle SS. Un SS-Oberscharführer si prendeva le donne nel blocco 8, dove e quando voleva - i mariti e gli altri parenti dovevano 'guardare da un’altra parte'. Ricordo che un ufficiale SS prendeva spesso con sé due bambini zingari, che erano molto dotati e ballavano bene. Poi ha sparato di propria mano ai due bambini".

Toccante il racconto di Antonina Nikiforova, sopravvissuta a Ravensbrück, che racconta alla corte di Norimberga la tragica esistenza di un apposito blocco riservato a centocinquanta bambini zingari, quotidianamente maltrattati.                      

"Ecco il blocco dei piccoli zingari. Sono centocinquanta. L’Aufseherin (la sorvegliante) è molto severa, batte i bambini con un bastone, ed essi si mettono in salvo come tanti diavoletti. I ragazzini giocano alla guerra, le bambinette fanno il girotondo quando non hanno dei marmocchi a cui badare".

La documentazione maggiore riguarda Auschwitz, dove, per un certo periodo, esistette una sezione appositamente riservata agli zingari: il campo BIIe per famiglie zingare.

Lo Zigeunerlager, come era chiamato, entrò in funzione alla fine del febbraio 1943 e cessò di esistere ai primi di agosto del 1944, quando tutti coloro che vi erano sopravvissuti vennero condotti nelle camere a gas. Va specificato che anche prima della costruzione del campo per famiglie zingare, gli zingari erano internati ad Auschwitz e che alcuni vi rimasero anche dopo la costruzione del lager BIIe: il 20 gennaio 1944 ne risultano 479. il campo speciale venne immediatamente circondato da filo spinato elettrificato ad alta tensione, per sottolineare la netta separazione degli zingari dal resto dei deportati. Nel periodo compreso tra il 1943 e il 1944 ospitò circa 23.000 persone, di cui circa la metà donne e bambini. Si trattava in larga parte di zingari tedeschi e boemi; una parte più esigua proveniva da Polonia, Ungheria, Russia, Lituania e Francia. I più benestanti erano sicuramente gli zingari tedeschi, solitamente ex saltimbanchi provenienti dal mondo del circo. Vi vennero presto rinchiusi anche i cosiddetti semizingari, precedentemente arruolati nella “Wehrmacht” e spesso pluridecorati.

Nello Zigeunerlager le condizioni di vita e le norme comportamentali erano ben diverse da quelle vigenti in tutta Auschwitz: gli zingari non erano sottoposti alla selezione iniziale - anche se si sa di alcuni convogli neanche registrati e mandati immediatamente nelle camere a gas -, ma, tatuati e rasati a zero, subito destinati alle loro baracche dove rimanevano con le loro famiglie. Potevano persino conservare le loro vesti ed i loro monili. Poi nessuno si preoccupava di loro: non avevano l'appello mattutino, non facevano parte dei gruppi di lavoro, le donne potevano addirittura partorire: vi nacquero quasi 400 bambini, molti dei quali, però, utilizzati da Mengele per i suoi atroci esperimenti. Una condizione che potrebbe persino sembrare di privilegio, se non fosse che l'abbandono e il disinteresse verso questi internati da parte delle autorità di Auschwitz sottintendeva, in realtà, il loro destino di morte. Per questo gli zingari venivano abbandonati, in condizioni agghiaccianti: la mancanza di cibo, il freddo, le malattie rendevano difficilissima la sopravvivenza. Hermann Langbein, allora medico nell'infermeria del lager, ricorda di aver registrato che l'indice di mortalità dello Zigeunerlager risultava molto più alto che nel resto di Auschwitz. Per questo vi si recò e trovò condizioni orrende: bambini colpiti da una terribile malattia della pelle, causata dalla denutrizione, il noma, uomini e donne moribondi, in stato di abbandono totale, stipati in baracche gelide e senza spazio per muoversi. Langbein ricorda che la sentinella polacca lo condusse anche nel blocco dove stavano le donne in attesa di partorire:

“Su un pagliericcio giacciono sei bambini che hanno pochi giorni di vita. Che aspetto hanno! Le membra sono secche e il ventre è gonfio. Nelle brande lì accanto ci sono le madri; occhi esausti e ardenti di febbre. Una canta piano una ninna nanna: «A quella va meglio che a tutte, ha perso la ragione» L'infermiere polacco che ho conosciuto a suo tempo nel lager principale mi porta fuori dalla baracca. Al muro sul retro è annessa una baracchetta di legno che lui apre: è la stanza dei cadaveri. Ho già visto molti cadaveri nel campo di concentramento. Ma qui mi ritraggo spaventato. Una montagna di corpi alta più di due metri. Quasi tutti bambini, neonati, adolescenti. In cima scorrazzano i topi.”

Alla fine, quindi, anche le condizioni particolari dello Zigeunerlager si rivelano per quello che sono, la realtà di un campo di sterminio nazista.

Non si conoscono con precisione le ragioni di questo trattamento particolare. Poco dopo la costruzione dello Zigeunerlager, l'ufficio V dell'Rsha, precisa che solo « per il momento» gli zingari vanno tenuti separati dagli altri prigionieri, per essere poi sottoposti allo stesso trattamento riservato agli ebrei. Si possono fare delle ipotesi tra le quali la più accreditata è che si trattasse di un progetto di sperimentazione - analogamente al caso del lager per famiglie del ghetto di Theresienstadt - per capire cosa si potesse fare di altri gruppi razzialmente simili qualora fosse continuata l'occupazione tedesca. Tale ipotesi è anche suffragata dal fatto che gli zingari di Auschwitz erano tra le principali vittime degli esperimenti medici e di sterilizzazione. Altre supposizioni che sono state fatte: il campo serviva a mantenere negli zingari l'illusione della sopravvivenza e ad evitare, così, ribellioni; venivano tenuti lontani dagli altri prigionieri che non volevano gli zingari; le vicende della guerra avevano lasciato aperto il problema; le camere a gas erano sempre impegnate nell'eliminazione degli ebrei. La Novitch suppone che gli zingari fossero lasciati in vita a beneficio di eventuali ispezioni della Croce rossa nel lager e anche perché il loro sterminio coinvolgeva molti zingari assimilati i cui congiunti erano ancora liberi. In ogni caso tutti questi fatti descrivono più le conseguenze che le cause della deportazione. Il loro destino di morte non può essere messo in dubbio.

La storia dello Zigeunerlager termina la notte tra il 31 luglio e il 1° agosto 1944, quando tutti gli zingari ancora in vita vengono uccisi nelle camere a gas e poi bruciati nei forni crematori. Erano oltre 3.000 persone, forse anche 4.000. Anche i motivi dell'ordine di annientamento non si conoscono. Ma, anche in questo caso, si possono fare delle supposizioni: la fine del lager BIIe avviene quando è registrato l'arrivo di un grosso convoglio di ebrei ungheresi abili al lavoro; il fronte russo si avvicina e l'apparato di sterminio viene potenziato al massimo; i convogli arrivano soprattutto ad Auschwitz ma insieme avanzano gli alleati. Insomma, la fine dello Zigeunerlager viene probabilmente decisa quando alla teoria razziale si sovrappone la prassi inclemente della guerra e i nazisti necessitano del massimo di manodopera, ma vogliono contemporaneamente arrivare alla «soluzione finale» nel più breve tempo possibile.

Nel luglio di quello stesso anno Heinrich Himmler si recò in visita al campo per zingari. Le parole del suo accompagnatore Rudolph Höss descrivono brutalmente le condizioni dello "Zigeunerlager", con tanto di sentenza finale di annientamento da parte del braccio destro di Hitler: "Gli feci percorrere in lungo e largo il campo zigano, ed egli esaminò attentamente ogni cosa: le baracche d'abitazione sovraffollate, i malati colpiti da epidemie, vide i bambini preda dell'epidemia infantile di noma, che io non potevo mai guardare senza orrore e che mi ricordavano i lebbrosi che avevo visto a suo tempo in Palestina. [Himmler] si fece dare le cifre della mortalità tra gli zingari, che tuttavia erano relativamente basse rispetto alla media del campo, tranne appunto che per i bambini. Dopo aver visto tutto questo ed essersi reso conto della realtà, diede l'ordine di annientarli"

Le selezioni iniziarono nell'aprile del 1944 (alcuni zingari abili al lavoro vennero mandati a Ravensbrück, Buchenwald e Flossenberg) e continuarono fino al giorno prima della gasazione finale. Racconta un medico ebreo prigioniero ad Auschwitz:

“L'ora dell'annientamento è suonata anche per i 4.500 detenuti del campo zingaro. La procedura è stata la stessa applicata per il campo ceco. Prima di tutto divieto di uscire dalle baracche. Poi le SS e i cani poliziotto hanno cacciato gli zingari dalle baracche e li hanno fatti allineare. Hanno distribuito a ciascuno le razioni di pane e i salamini. Una razione per tre giorni. Hanno detto loro che li portavano in un altro campo. Il blocco degli zingari sempre così rumoroso, s'è fatto muto e deserto. Si ode solo il fruscio dei fili spinati e porte e finestre lasciate aperte che sbattono di continuo.”

Molti dei sopravvissuti ad Auschwitz ricordano quella notte con parole di angoscia terribile, e, in particolare, si soffermano sulla descrizione agghiacciante della ribellione degli zingari al loro terribile destino: «Le SS - scrive Langbein - dovettero fare uso di tutta la loro brutalità. Alcuni, che cercavano di far salire gli zingari sui carri, non ci riuscirono» . Langbein riporta anche la testimonianza dell'infermiera Steinberg che, pochi mesi prima, aveva ricevuto istruzioni per la compilazione di un elenco di tutti gli zingari ancora nel blocco: “Udimmo urla [...] Il tutto durò parecchie ore. Ad un certo punto venne da me un ufficiale delle SS che non conoscevo a dettarmi una lettera che diceva "Trattamento speciale eseguito"». Quando si fece giorno nel campo non era rimasto un solo zingaro.”

Ma la testimonianza più preziosa, in tempi di revisionismi e negazioni della storia, risulta quella del comandante di Auschwitz, preziosa perché diventa ammissione di fatti proprio da parte di un nazista: «Non fu facile mandarli alle camere a gas. Personalmente non vi assistetti, ma Schwarzhuber mi disse che, fino ad allora, nessuna operazione di sterminio era stata così difficile».

Alle ore 20.00 del 31 luglio gli zingari vennero caricati su camion e trasportati nelle camere a gas: nessuno si salvò, in quella terribile notte. Alla fine della sua storia, le vittime dello Zigeunerlager furono 21.000.

Nel gennaio del 1945 gli zingari rimasti ad Auschwitz erano pochissimi: all'appello del 17 gennaio risposero solo 4 uomini. Le parole di una canzone zingara dicono: "Ci hanno fatto entrare attraverso il portone, e ci fecero uscire dai comignoli”.

Gli zingari, un popolo antico e pieno di vitalità, hanno cercato di resistere alla morte, ma la crudeltà e la superiorità dei nazisti ha avuto il sopravvento. Talvolta, nel loro martirio, hanno trovato nella musica una qualche consolazione: affamati e laceri, si radunavano fuori dalle loro baracche ad Auschwitz per suonare e incoraggiavano i bambini a danzare.

I tragici avvenimenti di Auschwitz sono all’origine di molte canzoni che ormai fanno parte del patrimonio tradizionale zingaro, come per esempio “Andr’oda taboris” (“Nel campo di lavoro”), canto dei Rom slovacchi internati nei lager:

“Non picchiatemi, joj,

così mi ammazzate,

ho bambini a casa, joj,

chi li alleverà?”.

Anche l’inno transnazionale dei Rom “Gelém gelém” (“Camminando camminando”) è significativo:

“Oh, Rom
Oh, figli.
Tutta la mia grande famiglia
la legione nera l'ha sterminata
Tutti hanno massacrato, uomini
e donne, fra loro anche
bambini innocenti.”

Molti Rom sopravvissuti hanno anche scritto poesie riguardanti quei tragici anni di storia:

“Auschwitz” (di Santino Spinelli)
Faccia incavata
occhi oscurati
labbra fredde;
silenzio.
Cuore strappato
senza fiato,
senza parole,
nessun pianto.

“Gasizarde Romeni violina” (“Hanno calpestato il violino zingaro”, di Rasim Sejdic)
Hanno calpestato il violino zingaro
cenere zingara è rimasta
fuoco e fulmini
salgono al cielo.
Hanno portato via gli zingari
i bambini divisi dalle madri
le donne dagli uomini
hanno portato via gli zingari.
Jasenovac è piena di zingari
legati a pilastri di cemento
pesanti catene ai piedi ed alle mani
nel fango in ginocchio
Sono rimasto a Jasenovac.
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La politica nazista per i territori occupati prevedeva l'internamento degli zingari nei campi di raccolta ed i loro successivo smistamento in diverse località del territorio tedesco e polacco. La Polonia rappresenta sicuramente il centro più attivo di questo "canale alternativo di smistamento" rappresentato dai territori occupati. Bisogna subito ricordare che la maggior parte degli zingari polacchi non morì nei lager, bensì in innumerevoli esecuzioni di massa.  Il numero relativamente basso di zingari uccisi ad Auschwitz, dunque, non deve trarre in inganno. In Polonia il mezzo più diffuso per sterminare la popolazione zingara era il ricorso alla fucilazione.
Eseguite dalla "Feldgendarmerie" (la polizia militare), ma spesso anche dalla Gestapo, dalle SS e dalla polizia polacca ed ucraina, tali brutalità si contraddistinguevano per sadismo e ferocia.
Il motivo di questa pratica rapida e violenta era da ritrovare nella paura dei carnefici di poter perdere qualche prigioniero durante il trasporto.
Nonostante queste liquidazioni immediate, la pratica dell'internamento era tutt'altro che assente.
Prima di diventare il territorio ospitante del lager più duro di tutto il Reich, tra il 1939 ed il 1941, la Polonia vide il suo territorio suddividersi in una molteplicità di autentici quartieri ghetto. Il primo venne creato nella città di Lódz nella Polonia centrale.
Si trattava di un complesso di dodici edifici delimitato da un fossato, nonché da un doppio reticolato di filo spinato. Inserito in funzione del "decreto di stabilizzazione" emanato da Heydrich su richiesta di Himmler il 17 ottobre 1939, il ghetto di Lódz tardò a colmarsi a causa di alcune difficoltà di ordine tecnico, come ad esempio lo spostamento dei deportati.
Il primo trasporto arrivò, quindi, il 5 novembre del 1941. Ad esso ne seguirono rispettivamente altri il 6, il 7 e l'8 novembre. Tutti consistevano di 1000 individui. Solo l'ultimo, avvenuto il 9 novembre, portò a Lódz 1007 persone.
In totale il ghetto comprendeva 5007 zingari, di cui 1130 uomini, 1188 donne e ben 2689 bambini.
L'assenza delle più elementari strutture igieniche provocò ben presto un'epidemia di tifo che spazzò via quasi la metà degli occupanti del ghetto di Lódz.
Fra il 5 e l'11 febbraio, gli zingari ancora in vita furono trasferiti nel campo di Chelmo sul Ner dove furono completamente sterminati nelle camere a gas.
Oltre a Lódz, anche la capitale Varsavia fu interessata dalla costruzione di un enorme quartiere ghetto. Il problema, qui molto forte, presentato dalla convivenza forzata tra la stragrande maggioranza ebraica e la minoranza zingara, spinse il comandante del distretto capitolino ad emanare un'ordinanza atta a chiarire le regole comportamentali nel ghetto dell'indisciplinata minoranza zingara.
All'articolo 1 del documento, si affermava che: "gli zingari che si trovano sul territorio del distretto di Varsavia al di fuori del quartiere ebraico, devono essere condotti nel più vicino quartiere ebraico. Il loro soggiorno colà è permanente. L'invio di zingari atti al lavoro in campi di lavoro è sotto riserva." L'articolo 2, inoltre, prescriveva che: nell'ottica di internamento degli zingari nel quartiere ebraico poteva essere disposta in qualsiasi momento "la requisizione senza risarcimento di suppellettili domestiche, veicoli, cavalli e altri beni che siano in loro possesso." All'articolo 3, infine, veniva delineato l'aspetto reclusivo del ghetto, in quanto si ricordava che: "gli zingari che dopo il trasferimento nel quartiere ebraico abbandonino illegalmente detto territorio, saranno puniti con il carcere e con una ammenda di 10000 zloty, o con una di queste pene, e nei casi più gravi con reclusione in penitenziario a norma della sopracitata ordinanza".
Dopo Lódz e Varsavia, altri ghetti furono costruiti nei centri di Siedle, Radom, Kielce, Belzec e Bialystok.
Con la progressiva avanzata del Reich, iniziò a delinearsi completamente la strategia liquidatoria di Hitler nei confronti di ebrei e zingari.
La grande macchina dello sterminio, arrivò così anche in Polonia dove si dipanò per una lunga serie di campi che dal 1942 ricopriranno l'intero territorio: tristemente celebre è quello di Auschwitz, di cui, con il suo “Zigeunerlager”, si è parlato più sopra, e che contribuì, unito agli orrori del poco distante campo di Bergen-Belsen, alla liquidazione della questione zingara.
Un'altra zona dell'Europa orientale particolarmente attiva nello sterminio degli zingari fu sicuramente il territorio della Jugoslavia ed in particolar modo
la Croazia.
Come
ricorda Dennis Reinhartz, uno dei più importanti studiosi degli zingari nei Balcani, il più grande genocidio dell'olocausto non fu perpetrato nella Germania nazista, bensì nel suo più fedele alleato, la Croazia. Nonostante la dichiarazione di indipendenza firmata il 10 aprile del 1941, lo Stato autonomo di Croazia non rappresentava altro che uno stato marionetta nelle mani di Hitler e della vicina Italia fascista.
Prima della dichiarazione di indipendenza, la Croazia era formata da una popolazione molto eterogenea suddivisa in poco più di sette milioni di croati, serbi e musulmani, ed oltre 28000 zingari. Il capo di stato Ante Pavelic ed il suo governo fascista degli "ustasha", seguì la stessa linea di condotta adottata dai nazifascisti contro le cosiddette minoranze indesiderate, concentrandosi in special modo contro la vasta comunità zingara.
Il primo passo verso questa terribile persecuzione fu compiuto con l'adozione del "decreto sull'appartenenza razziale" del 30 aprile 1941. In questo provvedimento si ribadiva la superiorità della stirpe ariana e si puntava il dito, in particolare, contro la comunità zingara, rea di "inquinarne" la purezza.
La prima mossa esplicita nei loro confronti, arriverà poco dopo, con il decreto voluto dal ministro dell'interno Andrja Artukovic del 3 luglio 1941, ordinante la schedatura e la confisca di ogni bene per tutti gli zingari del territorio. Nello stesso momento iniziava l'edificazione di campi di concentramento. In tutta la federazione jugoslava se ne contarono ben 71, oltre a 329 carceri per interrogatori e torture.
Senza ombra di dubbio, il campo più terribile può essere considerato quello di Jasenovac, nella Lonja, alla confluenza del fiume Una con
la Sava.
In
oltre cento ettari di estensione, quest'autentica Auschwitz di Croazia, istituita sotto il nome di "comando dei campi di raccolta e di lavoro di Jasenovac", prevedeva la gestione di ben cinque "sottocampi", circondati da reticolati e mura alte circa cinque metri culminanti con filo spinato elettrificato. L'unico lato non protetto da simili accorgimenti, era quello "coperto" dalla barriera naturale dell'invalicabile fiume Sava.
Il terzo "sottocampo", quello denominato "mattonificio", era destinato alle persone pericolose e sgradite per l'ordine pubblico e la sicurezza. Qui vi erano ammassati circa 4000 prigionieri, suddivisi tra ebrei, serbi, ma soprattutto zingari. In funzione dal novembre del 1941 sino al 25 aprile del 1945, il mattonificio rappresentava la parte più spietata di Jasenovac, essendo questa destinata esclusivamente alla liquidazione dei propri internati.
Il numero delle vittime di Jasenovac, stimato dalla Commissione di Stato della Repubblica Federale di Jugoslavia, si attesta intorno alle 600.000 unità. Una cifra sicuramente non esatta in quanto già nell'aprile del 1945 molti "ustasha" avevano completamente eliminato ogni traccia dei loro efferati crimini.
Oltre alla Croazia, anche la Serbia occupata diede vita ad una violenta politica di repressione nei confronti dell'etnia zingara. Nel 1941 furono calcolati, in maniera del tutto approssimativa, circa 150.000 rom, stipati per la maggior parte nella capitale Belgrado, e nella regione del Kosovo.
In un memorandum del 6 ottobre 1941, indirizzato al commando nazista locale, il comandante delle SS di stanza in Serbia, rendeva noto che: "zingari ed ebrei rappresentavano un elemento di disordine, nonché un pericolo per l'ordine e la sicurezza". Pertanto si rendeva necessaria, come strumento di prevenzione contro il propagarsi di una simile problematica, la reclusione di tutti i maschi ebrei e zingari. La persecuzione serba trovò come terreno principale il campo di Semlin, nei sobborghi di Belgrado. Un campo dove circa 20.000 zingari perderanno la vita, piegati dalla ferocia e dalla violenza delle truppe naziste. Ferocia e violenza che troverà sfogo anche in regioni, come l'Ungheria, la Bulgaria e la Romania, dove la minoranza zingara era, in realtà, foltissima.
L'Ungheria, fino a quando conservò l'indipendenza, espresse una persecuzione degli zingari e degli ebrei molto blanda.
Con l'occupazione tedesca del 1944, poi, iniziò una progressiva escalation di violenza culminata con la deportazione in Polonia di circa 31.000 zingari, dei quali soltanto 3.000 avrebbero fatto ritorno.
In Bulgaria la stampa fascista puntava il dito contro la comunità zingara, affermando come le pratiche amministrative e di controllo riguardanti i rom, costassero allo stato non meno di cinquecento milioni di leva, circa quattro miliardi di lire.
Per interrompere un simile spreco il governo bulgaro avviò, nel 1943, un piano incentrato sul lavoro forzato e sullo sterminio di tutti gli zingari del paese. Piano che in realtà non verrà mai applicato, consentendo agli zingari di vivere in modo pressoché tranquillo per tutta la durata del conflitto.
Ben più cruenta la situazione in Romania. Qui vigeva verso i rom un atteggiamento ambivalente. Ammirati come musicisti ed artisti, immancabili in ogni festa di nozze o ricorrenza, gli zingari venivano altresì discriminati in relazione al loro modo di vivere da reietti ed asociali.
Una volta insediato il governo di Ion Antonescu, l'atteggiamento verso la minoranza si inasprì notevolmente, complice anche l'alleanza con la Germania di Adolf Hitler.
Il governo fascista locale avviò, così, un progetto di eliminazione delle minoranze nazionali ricordando, per bocca di un capitano dell'esercito rumeno, che: "topi, corvi, zingari ed ebrei non hanno bisogno di documenti".
Una presa di posizione confermata poco più tardi dal foglio fascista rumeno "Eroica" in cui si ribadiva che la questione gitana non era meno importante di quella ebraica, lamentando la prevalente, pericolosissima opinione secondo cui gli zingari farebbero parte della stirpe rumena.
Contestando la progressiva crescita dei matrimoni misti ed il relativo aumento dei "mezzosangue", "Eroica" proponeva una legge in grado di vietare simili unioni suggerendo "la deportazione e l'eliminazione degli zingari ovunque potessero interferire con la vita sociale dello stato".
Il 19 agosto del 1941 con l'occupazione nazista dell'Ucraina fino al fiume Bug, Hitler concede alla Romania la gestione dei reparti di sorveglianza dei territori che terminavano sul fiume Dnjepr.
Questa circostanza permise la coniazione di un nuovo nome geografico, la Transdniestria, una zona comprendente buona parte del miglior terreno agricolo dell'Unione Sovietica. Una sua buona parte venne, però, utilizzata come luogo di "smaltimento" degli zingari.
Nel biennio 1941 - 1942 circa 25.000 zingari di Bucarest furono trasportati in Transdniestria, dove o per le violenze subite o per il freddo lancinante, morivano in un lunga agonia.
A guerra finita, il tribunale del popolo rumeno accertò, attraverso il lavoro di un'apposita commissione d'inchiesta, i crimini commessi dal governo Antonescu.
In una parte della relazione finale del processo si legge che: "decine di migliaia di zingari inermi sono stati ammassati in Transdniestria. Per metà furono colpiti da tifo.
La gendarmeria praticava un terrorismo senza precedenti; ognuno dubitava della propria vita; crudeli le torture. I comandanti di reparto si sollazzavano con le belle zingare schiavizzate negli harem personali. Sono stati circa 36.000 gli zingari vittime del regime fascista di Antonescu.

 

La Francia ancor prima di patire l'invasione tedesca, rappresenta, nell'Europa del XX secolo, l'autentica iniziatrice di politiche sistematiche di persecuzione nei confronti della minoranza zingara.
Un triste primato documentato da un provvedimento datato 16 luglio 1912 con il quale il governo transalpino, guidato dal repubblicano Raymond Poincarè, prescrisse per tutti i rom del territorio, l'obbligo tassativo di possedere il cosiddetto certificato antropometrico, da esibire come prova dell'effettiva "ziganità" del soggetto.
Nella scheda, oltre ai dati anagrafici, venivano riportati, secondo gli imperanti dettami antropometrici, tutte le misure del corpo e del cranio con relative impronte digitali.
Poco tempo prima dell'invasione tedesca, il capo dell'ormai precario governo francese Paul Reynaud, non esitò a varare, il 6 aprile 1940, un nuovo decreto anti-zingaro nel quale si vietava a tutti i rom della nazione di circolare sul territorio metropolitano per tutta la durata della guerra. All'articolo 2 dello stesso, si prescriveva l'obbligo per tutti i nomadi di presentarsi alla più vicina brigata di gendarmeria per ottenere la loro nuova destinazione in un fantomatico programma di deportazione gitana.
Secondo il governo francese per arginare la piaga zingara era assolutamente indispensabile "vietare il movimento dei nomadi e costringerli a stabilirsi in fissa dimora sotto il controllo della polizia urbana e rurale". Alla fine di agosto i campi operativi erano ben ventisei nella sud del paese e sedici a nord. Queste autentiche "anticamere francesi ad Auschwitz" si moltiplicheranno fino a superare le cento unità. Altri campi sorsero rapidamente a Montreuil - Bellay, dove furono deportati più di mille zingari, ed a Poitiers dove furono ammassati oltre 450 rom.
Con l'inizio della "Blitzkrieg", l'invasione tedesca, e la successiva instaurazione del governo di Vichy, la situazione precipitò vorticosamente.
La ferocia con cui i tedeschi s'insediarono nella regione dell'Alsazia - Lorena generò una forte ondata di panico per tutti gli zingari d'oltralpe.
L'amministrazione nazista in Alsazia, infatti, aveva prontamente avviato un programma di liberazione dell'Alsazia dagli zingari, nella cui circolare programmatica si leggeva: "si intende espellere gli zingari, i quali dovranno essere internati nel campo sorvegliato di Schirmeck. Nel corso dell'operazione gli zingari dovranno essere tenuti separati dagli asociali e dai delinquenti comuni. I nomadi non gitani dovranno essere schedati come zingari".
Lo "smaltimento" nazista dei rom iniziò in Alsazia nel dicembre del 1940, subito prima del Natale.
Molti zingari, inoltre, non rispettando i dettami del decreto del 1912, si ritrovarono ben presto senza documenti d'identità, generando così un facile pretesto per le autorità naziste, per poter procedere a brutali arresti, anticamera della deportazione nei campi di concentramento.
Analoga fu la situazione nella regione della Lorena. Qui, però, la persecuzione zingara, per volere dell'Ufficio di polizia criminale di Berlino, non avrebbe dovuto generare alcun flusso di deportati verso i territori tedeschi. In pratica, gli arrestati della Lorena sarebbero stati confinati e successivamente liquidati nello stesso territorio francese.
La drammaticità degli eventi in Alsazia e Lorena, generò un autentico flusso migratorio di migliaia di rom impauriti verso le altre regioni della Francia. Una mossa che non sortirà nessun effetto in quanto, dopo il consolidamento del governo di Vichy, l'intero territorio francese si trasformò in un coacervo di campi di concentramento nazisti, sotto la supervisione di Xavier Vallat, ministro per la questione ebraica.
La Francia fu sicuramente una delle nazioni ad ospitare il maggior numero di campi destinati prevalentemente a rom. I più estesi, oltre ai già citati Montreuil-Bellay e Poitiers, furono costruiti rispettivamente a Rennes ed a Compiègne. Nelle zone di Pithiviers e Saint-Fargeau, inoltre, furono allestiti campi, unico caso in tutta Europa, destinati esclusivamente a bambini zingari.
In linea di massima non si trattava di campi di sterminio. Gli zingari venivano sfruttati come un valido canale di manodopera per le aziende agricole ed industriali del territorio. Tuttavia le pessime condizioni di vita, l'infima qualità e del cibo e degli alloggi, nonché gli estenuanti ritmi di lavoro, portarono il tasso di mortalità di questi campi molto vicino a quelli dei famigerati lager della morte.

 

Per quanto riguarda l’Italia, sin dall’inizio del secolo l’antropologia positivista che vi si era affermata, incarnata da Paolo Mantegazza e Giuseppe Sergi, che partirono dalle interpretazioni del pensiero di Cesare Lombroso, assunse progressivamente marcati connotati razzisti. In una visione distorta e criminalizzata del “primitivo”, il selvaggio veniva assimilato al criminale per la sua presunta o scarsa capacità di apprendimento ed educabilità. Le due figure coincidevano in un contesto che tendeva sempre più a temere e rifiutare ogni elemento ritenuto socialmente deviante. In un’ottica simile, la perfetta incarnazione di questo nuovo logotipo selvaggio e criminale fu individuato nello zingaro. Per ovviare al propagarsi di quelli che Lombroso definiva “delinquenti antropologici” si ipotizzarono una lunga serie di provvedimenti. Generalmente gli zingari venivano “monitorati” dalle questure municipali e, in caso di disordini, catturati ed espulsi dal regno.

Forte di una solida impostazione teorica, l'antropologia italiana entra nell'era fascista.
La tendenza fascista a voler stabilire la superiorità della "razza italica", nonché la sua vocazione al predominio sulle altre popolazioni mediterranee, porterà l'antropologia ad un ruolo di primaria importanza nel quadro scientifico del regime. Un ruolo che subirà, nel 1938, un’ulteriore modifica. Riconoscendo ufficialmente "la teoria razzista", il fascismo utilizzerà l'antropologia con lo scopo di sancire la purezza e la superiorità della razza italiana. I contenuti di questa nuova tendenza saranno minuziosamente elencati nel "Manifesto degli scienziati razzisti" del 1938.

Ponendo in secondo piano la minoranza ebraica, molti antropologi fascisti si concentra quasi esclusivamente sull'etnia zingara, una razza "tanto più pericolosa in quanto difficilmente distinguibile dagli europei".
Sottolineando tutta la carica asociale e perversa degli zingari, auspicavano per la nazione italiana una presa di posizione simile a quella tedesca, votata, cioè, all'adozione di "seri provvedimenti" contro quelli definiti "eterni randagi, privi in modo assoluto di senso morale".
Nel continuo tentativo di stigmatizzare i sistemi di vita altrui, l'antropologia fascista elaborò, attraverso una ingarbugliata commistione tra contenuti folklorici ed etnologici, un concetto di razza piuttosto fumoso e contraddittorio.
Il concetto di razza al quale si pervenne fu quello di "razza storica". Un risultato dello sviluppo graduale di concetti già impliciti nelle premesse e nelle posizioni ideali del nazionalismo fascista, che riuniva in sé tutti i significati storici, filosofici ed ideali dei termini "nazione", "stato" e per l'appunto, "razza" nella sua accezione scientifica.
Il concetto che, comunque, conservò sempre una certa distanza da quei fondamenti dell'arianesimo nazista cui, peraltro, si ispirava, portava avanti un'idea di "razzismo totalitario", tendente al "potenziamento spirituale e fisico, cioè al potenziamento della stirpe".
Per perseguire un simile obiettivo, il regime preferì una condotta votata, essenzialmente, all'irrobustimento ed alla sanità della stirpe italiana, più che allo sterminio di razze straniere.
Come in Germania, i primi provvedimenti nei confronti delle minoranze zingare, non presentavano, dunque, alcuna connotazione razziale.
Per il regime fascista, infatti, gli zingari venivano esclusivamente considerati come semplici "asociali e criminali incalliti".

"Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdasdefogu il 7 gennaio 1943, perché eravamo lì in un campo di concentramento". Quella di Rosa Raidic è una delle rarissime voci di zingari testimoni della seconda guerra mondiale, una delle poche testimonianze che riguardano l'internamento in Italia, sotto la dittatura fascista, del popolo Rom.
Nonostante l’oggettiva difficoltà nella ricerca, la documentazione d'archivio fornisce testimonianze orali che restituiscono un quadro ancora contraddittorio ma di grande interesse. Coloro che si sono occupati dell'argomento hanno finora generalmente affermato che la politica discriminatoria fascista era indirizzata in particolare contro gli zingari stranieri presenti in territorio italiano e dovuta a ragioni di ordine pubblico. In quest’ottica, i provvedimenti si inserivano in un’ottica di salvaguardia dell’ordine pubblico. In tal senso si colloca la circolare dell'8 agosto 1926 per sottolineare la necessità di "epurare il territorio nazionale della presenza di carovane di zingari, di cui è superfluo ricordare la pericolosità nei riguardi della sicurezza e dell’igiene pubblica per le caratteristiche abituali di vita: il vagabondaggio e l’oziosità, che fomentano e agevolano l’accattonaggio e la perpetrazione di vari reati". Il provvedimento ordinava agli uffici di frontiera di colpire nel suo fulcro l'organismo zingaresco, respingendo le carovane con il corredo di animali, carri e masserizie, ammettendo al transito solo quelle munite dei documenti di viaggio in modo da garantire un numero contenuto di viaggi.
Siamo in una fase di transizione in cui la minoranza zingara viene sostanzialmente ignorata dallo Stato italiano.

Secondo questa ipotesi fu essenzialmente l'occupazione della Jugoslavia e la conseguente fuga degli zingari da quel paese a costringere le autorità italiane a internare gli zingari. In un certo senso è persino ovvio che le misure di internamento e deportazione degli zingari siano aumentate e divenute più intransigenti con l'occupazione della Jugoslavia, anche solo perché è da quel territorio che molti zingari scapparono in Italia dopo l'occupazione nazifascista. E' quindi possibile ipotizzare che le misure di deportazione per gli zingari, italiani e non, si siano acutizzate sul finire del 1941, ma questo non esclude atteggiamenti discriminatori anche in precedenza e non necessariamente indirizzati contro gli zingari stranieri.

Con una circolare datata 8 giugno 1938, il Ministero dell'Interno aveva disposto l'istituzione di campi di concentramento ed internamento destinati a persone ritenute capaci di turbare l'ordine pubblico commettendo sabotaggi ed attentati, nonché per persone italiane e straniere segnalate dai centri di spionaggio. Cominciarono le retate su vasta scala e le conseguenti deportazioni di interi nuclei familiari rom.

L’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale e il definitivo allineamento del fascismo con il nazismo segnò il definitivo inasprimento delle misure di controllo e repressione.
L'11 settembre 1940 vengono emanate le prime disposizioni per l'internamento degli zingari italiani: una circolare telegrafica del Ministero degli Interni, firmata dal capo della polizia Bocchini e indirizzata a tutte le prefetture fa esplicito riferimento all'internamento degli zingari italiani, dando per scontato il fatto che, in base ad altre direttive quelli stranieri debbano essere respinti e allontanati dal territorio del regno. Nella circolare è scritto che "sia perché essi commettono talvolta delitti gravi per natura intrinseca et modalità organizzazione et esecuzione, sia per possibilità che tra medesimi vi siano elementi capaci di esplicare attività antinazionale... est indispensabile che tutti zingari siano controllati". Si dispone quindi "che quelli nazionalità italiana certa aut presunta ancora in circolazione vengano rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte ciascuna provincia...".
Si tratta di un ordine importante anche perché, nei documenti d'archivio, è seguito da una fitta corrispondenza che indica come i prefetti eseguano gli ordini procedendo al rastrellamento degli zingari nelle loro province: esistono lettere e telegrammi delle autorità di Campobasso, Udine, Ferrara, Ascoli Piceno, Aosta, Bolzano, Trieste e Verona, che, rispondendo agli ordini, indicano come, rapidamente, gli zingari diventino una preoccupazione urgente e importante in tutto il Regno. Poi, il 27 aprile 1941, il Ministero dell'Interno emana un'altra circolare avente ancora per oggetto 'l"Internamento degli zingari italiani".
Purtroppo, finora, l'esistenza dei campi di concentramento per zingari è documentata quasi esclusivamente dalle testimonianze orali. I ricordi degli zingari sono frammentari, spezzati dalla riservatezza della memoria e dalla mancanza di una tradizione scritta che caratterizza la loro cultura, ma raccontano l'esistenza di luoghi di detenzione come Perdasdefogu, in Sardegna, il convento di San Bernardino ad Agnone, in provincia di Campobasso, Tossicia, in provincia di Teramo.
Mitzi Herzemberg ricorda che ad Agnone, dove gli zingari erano rinchiusi nel convento di San Bernardino, talvolta gli uomini venivano portati fuori a scavare buchi per le mine che servivano a ritardare l'avanzata alleata. Le guardie fasciste inferivano con punizioni durissime sui prigionieri: lui, che allora aveva quattordici anni, lavorava in cucina e cercava di passare un po' di cibo ai suoi familiari, venne portato fuori per essere fucilato con alcuni altri. Si salvò perché all'ultimo momento la sua pena fu commutata in bastonature e segregazione.
Antonio Hudorovic è stato prigioniero a Tossicia: "Una volta, - dice - quando eravamo a Tossicia, è venuto un ufficiale tedesco. Ci ha preso tutte le misure, anche della testa. Ha detto che era per darci un vestito e un cappello". Tossicia è l'unico campo di concentramento sul quale si hanno dati abbastanza certi. Le carte e gli atti degli archivi comunali - sui quali ha lavorato in particolare Anna Maria Masserini - dicono che risulta funzionante dal 21 ottobre 1940 e che dall'estate del 1942 ci sono anche prigionieri zingari, in condizioni miserevoli descritte dal direttore del campo e dall'ufficiale sanitario come invivibili.
Testimonianze sparse ricordano altri luoghi di detenzione: Viterbo, Montopoli Sabina, Collefiorito, le isole Tremiti. E' anche documentata la presenza di zingari a Ferramonti di Tarsia, uno dei più grandi campi di concentramento italiani, esistito dal luglio 1940 al settembre 1943.
Dopo l'8 settembre e con l'inizio dell'occupazione tedesca molti campi dell'Italia centro-meridionale vennero smantellati, anche per l'arrivo degli alleati, ma questo non significò la fine della deportazione in Italia, nemmeno per gli zingari. Il rom abruzzese Arcangelo Morelli racconta di esser stato rinchiuso e torturato nel manicomio dell'Aquila, trasformato in quartier generale della Gestapo e sappiamo anche che a Gries di Bolzano, anticamera dei Lager nazisti, erano detenuti anche gli zingari.
Giuseppe Levakovich, in un libro che è la sua memoria, ripercorre molte delle vicende degli zingari negli anni delle dittature e della guerra, prima in Jugoslavia poi in Italia e ricorda, con amarezza, lastoria di sua moglie, Wilma, e di altre due giovani zingare, Muja e Mitska, internate a Ravensbrück e poi a Dachau.

In totale, fra il 1940 e il 1944 più di 6.000 zingari vennero internati dalle squadre fasciste in campi di concentramento italiani e stranieri.

 

Uno degli aspetti più inquietanti dello sterminio dei Rom è l'atteggiamento assunto a posteriori da parte della memoria storica. Lo sterminio dei Rom è prima negato, poi, una volta riconosciuto, sono stati pochissimi gli studiosi ad occuparsene: è anche per questo che è ormai difficilissimo stabilire dei dati precisi, se non altro per quanto riguarda il numero di zingari presente in Europa prima e dopo la guerra. Un comportamento controverso che, all'indomani della seconda guerra mondiale, si è concretizzato nell'uso di pesi e misure differenti nello scomodo compito del risarcimento, prima morale e poi fisico, dei danni subiti. Dopo la fine della guerra, né la Germania né gli altri Paesi fornirono alcun tipo di risarcimento ai sopravvissuti come è stato per gli Ebrei. Infatti, con il processo di Norimberga, solo a danno degli Ebrei è stato riconosciuto un vero programma di sterminio, mentre i rom sono stati assimilati alle vittime non-ebree. Le riparazioni, che ancora oggi molti attendono, confermano, nella loro mancata assegnazione, le parole di Rajko Djuric, il presidente della "Romani Union", che definì la cenere di Auschwitz pesata con "pesi" che portavano la scritta "utile" anziché con criteri etici e precise verità storiche.
La privazione del peso specifico dell'esperienza zingara nel quadro dei genocidi trova vigore anche nelle parole di Guenter Lewy.

Nel suo controverso libro "La persecuzione nazista degli zingari" l'autore tiene a precisare che le uccisioni di massa compiute dai nazisti nei confronti della minoranza rom non rappresentarono veri e propri atti di genocidio ai sensi degli articoli contenuti nella "Convenzione sul delitto di genocidio" del 1948. Non si poteva parlare di genocidio in quanto quelle uccisioni "non costituivano parte di un piano di distruzione del popolo zingaro in quanto tale".
Per Lewy diventa inammissibile, quindi, parlare di "Olocausto zingaro". Inaccettabile il parallelismo che ne deriverebbe con la tragedia ebraica.
Ma non c’è la minima necessità di generare simili comparazioni.
La segregazione e le deportazioni di Rom e Sinti, il loro sterminio programmato e le feroci vessazioni di oltre 500.000 individui perpetrate dalle forze naziste, hanno pari dignità rispetto al dramma della comunità ebraica.
Più che imbattersi in imbarazzanti confronti, dunque, c'è l'esigenza di chiamare le cose con il loro nome, fosse solo per non dimenticarle, imprimendole per sempre nella nostra memoria.
E' necessario opporsi energicamente ad ogni tentativo teso a minimizzare oppure semplicemente volto a perdonare la colpa di quell'orribile atto criminale.
In avvenire la memoria storica dell'Olocausto nella sua totalità di reati, dovrà rappresentare uno degli elementi più significativi nel determinare l'identità tedesca e, più in generale, l'identità di tutta l’Europa, che si avvia tra mille difficoltà a diventare “Unita” a tutti gli effetti. Anche perché, in un’Europa in cui le tensioni etniche sono ancora molto forti, gli zingari continuano ad essere vittime di discriminazioni e violenze. Il Porajmos non è stato meno ingordo della Shoah, ma evidentemente una parola non basta a sottrarre gli zingari alla discriminazione. Nel 1992 la Germania ha venduto l’asilo politico dei Rom rumeni per 21 milioni di dollari e li ha estradati forzatamente. Alla stampa il governo ha chiesto solo di non chiamarla “deportazione”. A volte, le parole pesano.
Un'enorme importanza ai fini della memoria rivestono gli odierni complessi commemorativi. Molti di questi, sorti proprio nei lager teatro delle violenze, rappresentano punti d'incontro tra rappresentanti di diverse nazioni. Luoghi della memoria che ogni giorno tengono fede al loro triste ed inesorabile compito: riportare alla mente le drammatiche conseguenze della segregazione, dell'isolamento e della discriminazione dell'uomo.

Nonostante la profonda distanza culturale che ci separa dai Rom, che consiste soprattutto nel loro non riferirsi alla parola scritta per la conservazione della memoria, anzi nel dare molta meno importanza di quanto faccia la cultura occidentale alla memoria, le parole più belle che possono essere pronunciate per esortare a non dimenticare l’orrore e la barbarie dello sterminio del popolo dei figli del vento sono quelle di una poesia di Paola Schöpf:

“Bistardi Laida” (“Olocausto dimenticato”)
Silenzio, desolazione, oscura notte
Il cielo è cupo, pesante di silenzio!
aleggia nell’aria la nenia della morte
Da queste pietre, grigie pietre
da ogni rovina, dalle cornici infrante,
esala disperazione di sangue e lacrime.
Il mio spirito s’impiglia nel filo spinato
E la mia anima s’aggrappa alle sbarre,
prigioniera in casa nemica!
Chi sono? Nessuno! Tu chi sei? Nessuno!
Voi Sinti chi siete? Nessuno! Solo ombre,
nebbia! Nebbia che per abitudine è rimasta
Prigioniera della più grande infamia
Della storia dell’uomo!

 

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