IL GENOCIDIO NAZISTA DEI ROM

 

 

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di Marco Tomasone

documento tratto dal sito Museo delle Intolleranze e degli Stermini – www.romacivica.net/amis



Nel dibattito relativo all'integrazione delle minoranze nella società, l'etnia Rom si ritaglia uno spazio del tutto particolare.

A differenza di molti altri gruppi minoritari i Rom si sono sempre rivelati molto restii nei confronti di possibili strategie integrazioniste. Difficoltà alimentate dalla problematica definizione di un gruppo che ancora oggi fatica a guadagnarsi lo status di minoranza, vivendo senza un proprio territorio e senza una lingua codificata ben precisa. La comunità zingara ha però imparato a sopperire a tali lacune grazie ad una storia e ad una serie di caratteristiche culturali ben specifiche che l’hanno qualificata come una sorta di "minoranza transnazionale" (Arlati -Manna - Cuomo, 1997, pag. 20).

Nel complesso meccanismo di interazione tra "noi" e "l'altro", tra la società e la minoranza, giocano un ruolo determinante tutti gli elementi di giudizio e le immagini complessive che possediamo su di gruppo minoritario.

Generalmente questo bagaglio di informazioni, spesso alterato da numerosi stereotipi secolari, finisce con il mutare la reale percezione dell’altro.

In un’ottica viziata dal pregiudizio, lo zingaro rappresenta il "diverso" per eccellenza, raccogliendo su di sé, per una sorta di necessità di ordine sociopolitico, il maggior numero di stereotipi negativi.

La valenza negativa di ogni elemento orbitante intorno all'universo Rom, risponde a precise dinamiche sociali di stigmatizzazione e rifiuto.

Nel corso della loro secolare storia i Rom hanno sempre recitato il ruolo di "ospiti" vivendo perennemente in un regime di semi-clandestinità. Un ruolo precario frutto anche di atteggiamenti volontari che di certo non hanno aiutato i processi di integrazione, favorendo, dal lato opposto, la creazione di solidi pretesti di ghettizzazione e sterminio.

Le pratiche di sterilizzazione forzata in Svezia, Danimarca ed Austria hanno continuato a mietere vittime fino ai primi anni settanta.

In Svizzera la sottrazione dei bambini Rom ai genitori, introdotta per la prima volta dal dispotismo illuminato di Maria Teresa d'Austria, ha avuto sviluppi fino al XX secolo, attraverso l’attività dell'organizzazione Pro Juventute che, dal 1926 fino a tutti il 1973, ha portato avanti nella sezione "figli del vento" il sequestro e la "rieducazione" di oltre 500 bambini zingari.

Nell’Europa dell’est l'integrità fisica degli zingara è messa costantemente a dura prova da inesauribili rigurgiti etnico-nazionalisti.

In Romania, ad esempio, i Rom hanno vissuto in regime di tortura e schiavitù fino al 1864. Una condizione non migliorata durante il regime di Nicolae Ceausescu, in cui tutti gli zingari del paese furono obbligati, con mesi di galera e brutali torture, alla sedentarizzazione.

Dopo la caduta del regime nel 1989, i Rom, nell'euforico clima della riacquisita libertà, hanno visto riaffiorare, sotto forma di attentati e spedizioni punitive, le antiche ostilità da parte dell'altra "grande" minoranza rumena rappresentata dall'etnia ungherese.

Tra i raid più violenti ricordiamo la sommossa di Hadareni, avvenuta nel 1993 durante la quale un intero centro abitato venne messo a ferro e fuoco causando la morte di tre zingari, l'assalto al villaggio di Tanganu e l’attacco al villaggio di Petreasa, i cui abitanti, nel 1997, hanno deciso di espellere con la forza l'intera comunità Rom lì presente (cfr. Revelli, 1999, pp. 97 - 98).

Non meno grave la situazione dei Rom nell’attuale Repubblica Ceca. Qui, il rapporto sempre più difficile e tormentato con gli zingari ha trovato delle soluzioni a dir poco scandalose. Basti pensare al provvedimento governativo del 1992 che, senza alcun preavviso, ha privato oltre 100.000 Rom cechi della cittadinanza.

Nell'immediato passaggio da cittadino ad ospite straniero, questi Rom hanno rapidamente perso qualsiasi tutela, divenendo un bersaglio ancor più facile per discriminazioni di ogni tipo.

Parlando di decisioni oltremodo sconcertanti non è possibile non far riferimento alla questione del "muro" di Ứstí nad Labem (cfr. Sobotková, 1998, pag. 8).

Questa piccola città della Boemia settentrionale ha proposto nel 1998, su richiesta di numerosi cittadini, la costruzione un muro intorno al perimetro del quartiere a maggioranza Rom di Neštěmicé.

Il muro di Matični, dal nome della strada in cui avrebbe dovuto sorgere, doveva garantire una sorta di riparo dagli odori e dai rumori prodotti dai nuclei zingari.

Per fortuna questo autentico monumento all'emarginazione ed alla ghettizzazione non ha mai visto la luce.

Quando si parla di est Europa e di contrasti etnici non è possibile non far riferimento ai Balcani, ed in particolare alla regione del Kosovo.

Prima della guerra del 1998, il numero dei Rom residenti in questa zona del territorio serbo era stimato intorno alle 100 - 150.000 unità. Una valutazione non pienamente attendibile giacché molti Rom, preferirono eludere i censimenti tra il 1981 ed il 1991, in quanto preoccupati dalle possibili conseguenze derivanti per la loro integrità da una simile azione.

Nell'ultimo conflitto del Kosovo, i Rom sono stati, e continuano ad essere, obiettivi della cosiddetta pulizia etnica; una violenza attuata prima dall’ex presidente della Repubblica federale Serba Slobodan Milosevic, e, successivamente, dall'etnia albanese.

Maturata nel marzo del 1998 in seguito ad una richiesta di maggior autonomia da parte della regione kosovara, la pulizia etnica si è lentamente configurata come un nuovo, ennesimo, esempio di strategia genocidaria.

Generalmente per i Rom arrestati era prevista la deportazione in appositi "campi per sfollati" come quelli organizzati ad Obilic, Djakovica e Podgorica mentre altri, più fortunati, venivano trasferiti nella vicina regione di Suto Orizari in Macedonia, presso altre famiglie Rom con uno status di "protezione umanitaria temporanea" (cfr. Gheorghe - Verspaget, 1999).

Secondo un censimento effettuato dalla OSCE nell'agosto del 1999, il numero dei Rom ancora oggi presenti nel Kosovo è pari, circa, alle 10.000 unità.

Accusati dalla maggioranza albanese di aver collaborato con le forze governative serbe, i Rom hanno così dovuto subire una nuova persecuzione finalizzata a metterli in fuga, nonché ad impedirne definitivamente il ritorno in Kosovo.

Appare chiaro, alla luce di quanto detto finora, come la discriminazione verso questa minoranza non accenni a diminuire, trovando sempre nuova linfa e nuovo vigore. Un problema molto sentito anche nel nostro paese dove campi affollatissimi, sporchi e decisamente inadeguati si trascinano nel disinteresse generale alla stregua di scomodi ghetti postmoderni.

In questa analisi a ritroso delle persecuzioni Rom, non ci si può non soffermare su quello che è stato il momento più tragico della storia di questa minoranza: lo sterminio nazista perpetrato durante la seconda guerra mondiale.

Ciò che pone su di un altro livello la tragica esperienza del Pořajmos, per usare il nome con cui i Rom chiamano il loro olocausto, è la dimensione globale della persecuzione.

Esso rappresenta una manovra di annientamento totale indirizzata a spazzar via la presenza di un intero popolo mediante l'annullamento fisico ma anche di tutto quel complesso sistema di valori culturali legati al linguaggio, alla religione, alle arti ed ai costumi. Il genocidio dei Rom ha perso qualsiasi vincolo concettuale non potendosi configurare esclusivamente come genocidio culturale, né tantomeno come genocidio politico o religioso.

Lo sterminio di oltre cinquecentomila zingari da parte del Terzo Reich può essere considerato una sorta di "genocidio totale": un attentato indirizzato prevalentemente all'essenza di un popolo per negarne in maniera definitiva la sua effettiva esistenza.

Una esistenza che è effettiva, ma che risulta sicuramente poco nota ai più.

Il popolo zingaro rappresenta, infatti, una delle comunità meno conosciute del nostro tempo. Tale superficialità a livello conoscitivo è senza dubbio dettata da origini storiche misteriose, ma, almeno per quanto riguarda la storia recente, risulta frutto di un atteggiamento volontario e discriminante di difficile comprensione.

Se spostiamo, infatti, la nostra attenzione sulla tragica esperienza dell’olocausto zingaro notiamo subito una straordinaria assenza di dati ed informazioni.

Ad oltre cinquant’anni di distanza, la storia del genocidio zingaro è ancora oggi una storia da scrivere. Un tragedia che ad ogni istante deve fronteggiare l’offensiva indegna e mistificatoria del pensiero revisionista e di chi, con estrema leggerezza, cerca di negarne l’esistenza considerando l’olocausto un’esperienza esclusiva del popolo ebreo.

Ma lo sterminio zingaro è, purtroppo, una triste realtà.

Nel Pořajmos oltre cinquecentomila Rom persero la vita. Un eccidio che rappresenta la diretta e più tragica conseguenza di una storia da sempre votata alla persecuzione ed alla sofferenza.

L'Europa che nel corso dei secoli XIV e XV accoglie gli zingari, infatti, è un organismo in profonda trasformazione sia per quanto riguarda gli aspetti politici, che quelli più propriamente economici. I neonati stati nazionali tendono ad escludere tutti coloro che appaiono diversi condannando, sul rivalutato piano del lavoro, tutti coloro che non rientrano nelle logiche del mercato capitalista della manodopera.

Varando il nuovo concetto della "inutilità sociale" molte categorie di individui vennero ben presto emarginate e rifiutate in quanto elementi di disturbo per lo sviluppo ed il progresso della società.

Tra le più bersagliate ci fu sicuramente la comunità zingara.

Dalla fine del XV secolo sino a tutta la metà del XVIII, la repressione degli zingari diventa, in Europa, un vero e proprio metodo di governo (cfr. Arlati, 1997 a, pag. 27). Tra le nazioni sicuramente più attive in tal senso, si segnala la Spagna che nel 1492 emanerà, per volere dei re cattolici Ferdinando ed Isabella, un provvedimento mirante all’espulsione di zingari, ebrei e mori, dalle terre del neo costituito regno.

Il primo testo specifico riguardante gli zingari in Spagna, risale però al 1499. Si tratta della prammatica detta di Medina del Campo con la quale i re cattolici invitano gli zingari del regno a trovare un mestiere ed un padrone, proibendo i loro inutili e vani viaggi di gruppo (cfr. Liégeois, 1994, pag. 114). E' un provvedimento che presenta un'apparente disponibilità all'integrazione ed alla tolleranza.

Con il passar dei secoli, tuttavia, il rapporto tra la corona ed i gitani s'inasprirà notevolmente fino a culminare, il 30 luglio del 1749, in quella che viene ricordata come "la grande retata dei gitani".

L'azione, preparata in gran segreto, doveva rivelarsi come un violento strumento di repressione, in grado di "ripulire" la Spagna dalla "piaga gitana". Un'operazione che per i reggenti spagnoli rappresentava un "servizio reso a Dio" (Id., pag. 115), ma che in realtà, si rivelò un autentico fallimento.

Le sole vittime furono, infatti, quei gitani "regolarizzati", ormai sedentari e titolari di attività lavorative. I nomadi ritenuti più pericolosi, riuscirono invece a sfuggire al provvedimento, disseminando, in preda alla disperazione, il panico in numerose città.

Nel dubbio di dover "separare i cattivi dai buoni" (Liégeois, 1994, pag. 116) si arriva, con la reggenza di Carlo III, nel 1783, a quello che può essere considerato come il provvedimento definitivo nell'ambito della politica verso gli zingari.

Il documento riassume tutta la filosofia dell'epoca, prevalentemente incentrata su di un'ottica assimilazionista. Nel preambolo, infatti, si dichiara che: " coloro che son detti gitani, non lo sono né per origine né per natura e che non derivano da una radice malsana. In considerazione di ciò ordino che essi e ognuno di essi usino né la lingua, né le vesti, né il modo di vita errante, che hanno seguito sino ad ora" (cit. in. Liégeois, 1994, pag. 117).

In conseguenza di questo provvedimento, il vocabolo "gitano" doveva essere cancellato da tutti i documenti. Il termine ultimo per completare questa assimilazione forzata condotta attraverso il progressivo abbandono delle vesti, della lingua e delle abitudini era di novanta giorni. Il tutto sotto pena di essere marchiati a fuoco e, in caso di recidività, di essere giustiziati senza remissioni (cfr. Liégeois, 1994, pag. 117).

Con la penisola Iberica (oltre alla Spagna anche il Portogallo di Giovanni III s'impegnò in una severa politica di repressione verso i gitani) tutto il vecchio continente si ritrovò unito nella lotta alla comunità zingara.

Già nel 1554 Elisabetta I d'Inghilterra aveva ordinato la pena di morte per tutti gli zingari arrestati nel regno. In Scozia gli uomini venivano condannati all'impiccagione, le donne all'annegamento ed i bambini zingari alla marchiatura a fuoco sulle guance.

In Francia le prime avvisaglie di questo atteggiamento discriminante risalgono al 1561, quando l'assemblea degli Stati di Orléans ordinò a tutti i governatori di sterminare la popolazione gitana "col ferro e col fuoco" (cfr. Arlati, 1997 a, pag. 27). In Svezia i reggenti prescrissero l'arresto e l'impiccagione senza processo per tutti gli zingari, mentre Cristiano di Danimarca dispose l'uccisione soltanto dei capi tribù.

Nel settecento Federico Guglielmo di Prussia condannò alla forca tutti gli zingari maggiori di diciotto anni sorpresi in territorio prussiano.

In Italia, e nello specifico, nel Ducato di Milano, la prima ordinanza contro gli zingari risale al 13 aprile 1493. Nella "grida" si comunicava che: "Si fa pubblica crida et comandamento che tuti li zigani quale se ne trovano de presente in questa parte debiano subito partirse et per lo advenire non ardischano più ritornare tra Po et Adda sotto pena de la forca" (Archivio di Stato di Milano, registro n° 23, cit. in. Arlati, 1997 a, pag. 29).

A tale provvedimento seguirono numerosi altri disegni, più o meno identici nella forma, fino al decreto datato 6 agosto 1567, postulante, per la prima volta, severe pene quali l'impiccagione e la fustigazione, per tutti quegli zingari non rispettosi dell'ordinanza di espulsione. Nella parte centrale del documento si legge, infatti: “nel termine di giorni otto prossimi da venire, doppo la publicatione della presente, si partino (gli zingari - N.d.R.) dalle città, terre, ville et luoghi del Stato predetto, altrimenti passato detto termine trovandosi essi cingari in esso Dominio nel loro habitato, gli uomini saranno mandati alla galera per cinque anni, et trovandosi stravestiti, saranno impiccati per la gola et le donne in loro habito fustigate pubblicamente et le stravestite incorreranno la pena della perdita della vita" (Archivio di Stato di Milano, registro n° 19, cit. in. Arlati, 1997 a, pag. 29).

L'ultimo documento contro gli zingari dell'attivissimo Ducato di Milano, è datato 25 febbraio 1713, dove con toni ancor più severi e brutali, vengono ribaditi i contenuti punitivi per tutti i trasgressori. Nella parte finale del testo, infatti, si dispone che: "…dopo spirato detto termine di quattro giorni, di potersi unire et perseguitare anche con campana a martello li detti Cingari, ancorché fossero di viaggio sopra le pubbliche strade, e quando non li possano prendere per consignarli prigioni, l'ammazzarli e levar loro ogni sorta di robbe, bestiame e danari che li trovaranno" (Archivio di Stato di Milano, fondo "Giustizia punitiva", cit. in. Arlati, 1997 a, pag. 29).In Italia, come in tutti gli altri paesi della Cristianità, grande impulso alla persecuzione contro gli zingari fu dato dallo Stato della Chiesa, subito attivo in un'opera di "immoralizzazione" dello zingaro.

Più che di una vera e propria opera di persecuzione si tratta di una sorta di politica diffamatoria, atta a dipingere gli zingari come individui irreligiosi, immorali e propagatori di esoterismi.

Alla politica persecutoria marcatamente violenta dei poteri pubblici, si aggiunge verso il XVIII secolo una nuova strategia votata all'idea di assimilazione dei nomadi. La principale promotrice di una simile politica fu l'imperatrice Maria Teresa d'Austria, che s'impegnò duramente nel trasformare tutti gli zingari del regno in buoni contadini e cittadini modello. A partire dal 1758 emanò una serie di leggi che obbligavano gli zingari alla sedentarizzazione forzata, nonché all'abbandono della lingua, dei costumi, dell'abbigliamento e dei mestieri tradizionali. Inoltre, a completare quest'autentica opera di spersonalizzazione dello zingaro, l'imperatrice austriaca tolse loro i nomi ed i figli, proibendogli di abitare in tende o capanne e di "vagabondare" per il paese. Impose loro di vestire e parlare come tutti gli altri cittadini. Per i trasgressori la pena inflitta era di venticinque colpi di bastone.

Un'altra particolarità del progetto, riguardava la denominazione della minoranza. Gli zingari, secondo il progetto di Maria Teresa d'Austria, dovevano essere chiamati Uj Magyar, nuovi ungheresi. Un ultimo tassello votato alla definitiva negazione dell'esistenza del gruppo etnico zingaro.

Il successore di Maria Teresa, Giuseppe II continuò l'opera di assimilazione forzata varando, nel 1783, il De Domiciliatione et Regulatione Zinganorum un provvedimento che, oltre ad impedire il nomadismo e la conservazione dei tratti culturali zigani, rese obbligatoria la frequenza scolastica e l'istruzione religiosa.

In questa rapida carrellata abbiamo potuto notare come tutti gli stati nazionali abbiano costantemente osteggiato la minoranza Rom. Resta da analizzare la Germania. Quella nazione, cioè, capace più di tutte di estremizzare sino all’inverosimile, l’odio e la follia razzista.

Le prime avvisaglie germaniche contro gli zingari affondano le proprie radici nel 1580 quando Martin Lutero bollò di ignoranza, oziosità e perversione il popolo zingaro. Portatori di caos, ladri ed imbroglioni, i Rom sono stati osteggiati essenzialmente per via della loro presunta intrinseca natura votata al comportamento criminale (Friedlander, 1997, pag. 360).

Per favorirne l'arresto nel XVIII secolo venivano addirittura organizzate delle autentiche battute di caccia.

Nel grande movimento di urbanizzazione sviluppatosi verso la fine del XIX secolo, i nuovi concetti di sicurezza, bene pubblico e proprietà, identificano gli zingari come la più imprevedibile delle minacce.

La tematica della zigeunerplage, la piaga zingara, si trasferisce dalle campagne per diventare un pericolo sociale incorporato nella questione urbana.

La polizia passa così dalla sorveglianza tradizionale degli spostamenti sospetti nelle campagne a quella che si può definire come una sorta di identificazione urbana preventiva.

Agli occhi di chi governa, il nomadismo diventa un elemento di disordine che sfugge al pieno controllo esercitato su tutti gli altri cittadini. Contro questo disordine zingaro, il cosiddetto zigeunerunwesen, si indirizzano le primissime misure di polizia (cfr. Karpati, 1993, pag. 39).

Nel 1886 il cancelliere Otto Von Bismarck, indirizzò a tutti i Länder del regno una circolare in cui si raccomandava il massimo impegno nell'espulsione di tutti i Rom in modo da liberare “completamente e durevolmente da quella piaga il territorio della federazione" (Bismarck cit. in. Fings - Heuβ - Sparing, 1998, pag. 22).

In attuazione di un simile disegno, nel marzo del 1899 viene istituita a Monaco di Baviera una zigeunerpolizeistelle, un ufficio di polizia con specifici compiti di controllo sugli zingari. Il corpo nasceva in seguito ad un’esplicita richiesta del Servizio informazioni sugli Zingari, creato, nello stesso anno, dal funzionario statale Alfred Dilmann, per lo sviluppo di apposite ricerche sulla comunità Rom. I risultati di tali studi, saranno poi raccolti dallo stesso Dilmann nello Zigeunerbuch, il libro degli zingari, del 1905 contenente oltre 3350 dati su zingari e persone viaggianti alla maniera degli zingari (Dilmann cit. in. Fings - Heuβ - Sparing, 1998, pag. 23). A differenza di lavori analoghi compiuti su ebrei o cattolici di Prussia, nessuna protesta o condanna formale si levò a favore della popolazione zingara. Un tacito assenso che, in un certo qual modo, eliminò definitivamente gli ultimi freni alla persecuzione di Sinti e Rom in territorio tedesco. Va subito ricordato che nella repubblica di Weimar, la persecuzione di Sinti e Rom venne effettuata in un quadro completamente diverso da quello successivamente adottato dal governo nazista di Adolf Hilter.

Nonostante le fortissime forme di discriminazione cui gli zingari venivano sottoposti, è importante sottolineare come la costituzione della repubblica di Weimar abbia sempre garantito l'uguaglianza individuale davanti alla legge.

In pratica tutto il quadro persecutorio del XIX secolo fino all'ascesa di Adolf Hitler, è caratterizzato, come già detto, da un'ottica prevalentemente poliziesca, nel senso di tutela dell'ordine pubblico, che mai nega il diritto all'esistenza degli zingari.

Un diritto progressivamente annullato in relazione all'escalation nazista. Un primo segnale di questa inversione di tendenza lo si ha quando, nel 1926, il Servizio informazioni sugli Zingari, con la nuova e più minacciosa denominazione di Ufficio Centrale per la lotta al problema zingaro, estenderà la sua competenza su tutto il territorio tedesco diventando un vero e proprio strumento all'avanguardia in materia di persecuzione.

Tutti i più moderni strumenti, dal telegrafo alla macchina fotografica fino ad un complesso sistema di registrazione per le impronte digitali, furono, infatti, messi a disposizione dell'ufficio bavarese per debellare completamente la "piaga zingara".

Ma la vera svolta avviene il 16 luglio dello stesso 1926 con il varo della legge n.17 contro zigeuner-und Arbeitscheuengesetzt (zingari e renitenti al lavoro - categorie peraltro associate – N.d.R.) che impediva l’accesso di gruppi Rom nel territorio bavarese. Questo provvedimento rappresenta il primo di una lunga serie di documenti atti ad eliminare uno dopo l'altro i diritti all'esistenza della comunità zingara. All'articolo 1, infatti, si prescriveva che: "gli zingari e le persone come loro dedite al nomadismo possono spostarsi con carri e furgoni solo previa autorizzazione delle competenti autorità di polizia. L'autorizzazione può essere concessa per un periodo massimo di un anno ed è revocabile in qualsiasi momento. Tale autorizzazione va esibita su richiesta ai competenti ufficiali" (Moriani, 1999, pp. 91 - 92).

In questo modo, oltre ad impedire l'accesso in territorio tedesco, il provvedimento creava una sorta di ghettizzazione per tutti quei Rom già presenti in Baviera. La legge del 16 luglio rappresentò per il Reich “un significativo progresso nella prevenzione della criminalità” (Karpati, 1993, pag. 40).

Oltre alla Baviera, anche la regione del Baden manifesterà un certo vigore nella lotta contro gli zingari. Qui, nel 1934, si sperimentarono i primi metodi di schedatura, sterilizzazione e deportazione per oltre 1019 individui.

Ma l’inizio della degenerazione genocidaria per i Rom, è ufficialmente datato 14 luglio 1933, quando il nuovo consiglio di gabinetto, guidato da Adolf Hitler, l’odiato “Hitlari” dei Sinti tedeschi, vara il progetto di lotta ai lebensunwertesleben, i cosiddetti "indegni di vivere".

Nella categoria del lebensunwertesleben furono subito inclusi gli zingari. Già dal settembre dello stesso anno furono avviati i primi programmi di repressione contro nomadi ed individui senza fissa dimora.

Il 6 giugno del 1936, con un circolare governativa, i Rom ed i Sinti tedeschi vengono ufficialmente definiti come "popolo zingaro eterogeneo alla popolazione tedesca" (Moriani, 1999, pag. 93). Nell'immediato mese successivo il contenuto di questa circolare verrà ribadito dai commenti dei più illustri rappresentanti della scienza nazista dell'epoca.

Sulle colonne della rivista Volk und Rasse, il dottor Robert Kröeber scriverà, a tale proposito, che "gli zingari e gli ebrei sono oggi lontani da noi (i tedeschi - N.d.R.) a causa della loro origine ancestrale asiatica" (Kröeber cit. in. Crowe - Kolsti, 1991, pag. 16).

Ben più duro il dottor Emil Brandis che definirà i Rom come "l'unico popolo alieno in Europa" (Brandis cit. in. Crowe - Kolsti, 1991, pag. 16).

Il documento del 1936, con il progressivo consolidamento di Hitler, culmina con l'abilitazione del “campo di lavoro” di Dachau, destinato (inizialmente) esclusivamente agli asociali, vasta categoria in cui venivano inclusi, oltre agli zingari, detenuti politici, omosessuali, prostitute, alcolizzati e testimoni di Geova.

In un rapporto sulla prima deportazione verso Dachau datata 1 luglio 1936, si viene a conoscenza dell'internamento di circa 170 zingari.

Il 1936 sarà anche l’anno delle Olimpiadi di Berlino. Un’occasione in più per “ripulire” ed “riordinare” la città dalla piaga zingara.

Il numero degli internati a Dachau lievitò paurosamente, tanto da richiedere il supporto di altri campi, su tutti Auschwitz e Marzahn. Un'impennata notevole, diretta conseguenza di due provvedimenti analoghi del febbraio e del dicembre 1937. Provvedimenti che postulavano, per volere della Reichskriminalpolizeiamt o RKPA, la polizia criminale presieduta da Heinrich Himmler, braccio destro del Führer, e del Ministero dell’Interno del Reich, la carcerazione obbligatoria per tutti gli “asociali” ed “immorali” del territorio germanico.

L’azione, condotta senza alcun preavviso o ordinanza di sgombero, porterà, il 9 marzo del 1937, all’arresto di circa 2000 persone, fra cui una numerosissima maggioranza zingara.

Le motivazioni di un simile gesto possono, teoricamente, essere ritrovate nella circolare esecutiva della RKPA del 4 aprile 1938, in cui si ribadisce come gli zingari e tutti gli asociali "devono prendere coscienza che lo stato nazionalsocialista non ammette alcun danno alla comunità" (Karpati, 1993, pag. 40).

Il 16 maggio 1938 Himmler assume il pieno controllo dell'intera "questione zingara", la cosiddetta zigeunerfrage, per usare il termine coniato da Tobias Portschy, mediante l'incorporazione nei quadri della RKPA, della già citata zigeunerpolizeistelle, l'ufficio di polizia per zingari di Monaco che fino a quel momento aveva schedato ed arrestato qualcosa come 30.903 Rom.

Il provvedimento creava una più potente e vasta Reichszigeunerzentrale, un ufficio centrale con sede a Berlino, "per la lotta all'imperversare degli zingari" (Moriani, 1999, pag. 93).

Alla decisione, con effetto il 1 ottobre 1938, seguì, tra il dicembre 1938 e la metà del 1939, l'istituzione di un apposito apparato di polizia giudiziaria finalizzato alla "lotta agli zingari". Gli organi amministrativi, nei diversi comuni del Reich, vennero obbligati alla notifica, all'accertamento, alla vigilanza ed al controllo di tutti gli zingari stanziali e non.

E' un momento importante nella persecuzione zingara, anche in considerazione della parallela promulgazione delle cosiddette "leggi di Norimberga" a "tutela del sangue e dell'onore tedeschi" (Karpati, 1993, pag. 41).

Promulgate principalmente contro gli ebrei, le leggi di Norimberga vennero presto estese anche alla comunità zingara da una ferma presa di posizione di gran parte dell'intellighenzia nazista che parafrasando le parole di Wilhelm Frick, teorico e militante del partito nazionalsocialista, riteneva il sangue zingaro "non affine a quello tedesco" (Frick cit. in. Karpati, 1993, pag. 41). Ed è proprio nel problema dell’appartenenza razziale dei Rom che si può riscontrare la motivazione essenziale a ciò che può essere ritenuto, senza tema di smentita, come il più inspiegabile dei genocidi.

Depositaria del progresso e della lingua, della conoscenza e del benessere, la stirpe di Ario nasce, secondo i teorici dell’arianesimo, in un insieme di territori di matrice indo-egiziana.

Una provenienza che portò, dopo svariate contaminazioni europee, il vocabolo “ariano” ad assumere un significato molto simile al termine “indoeuropeo”.

Ma indoeuropei erano, innanzi tutto, gli zingari. Nasceva, così, per la teoria sulla razza nazista, un inaspettato e dirompente controsenso. Come poteva essere possibile ritenere gli zingari di un’altra razza, se gli studi scientifici portavano a concludere la loro origine indiana e quindi ariana?

I tedeschi discendevano, quindi, dallo stesso ceppo etnico degli zingari?

Questo autentico "dilemma razziale" (Arad, 1987, pag. 150) gettò una pesante ombra sulla credibilità di Hitler e dell’arianesimo in generale.

Con fredda determinazione la questione venne progressivamente insabbiata e la dottrina nazista riprese quota.

La popolazione zingara, però, doveva pagare un simile affronto; doveva pagare per aver messo seriamente in difficoltà la credibilità dell’arianesimo e, più in generale, dell’intero Reich.

Si decise così un escamotage a metà strada tra l’effettivo riconoscimento dell’origine ariana dei Rom e l’assoluta differenziazione da quella tedesca.

Coadiuvato dalle scienze antropometriche ed eugenetiche, il nazismo elaborerà una complessa teorizzazione del concetto di razza basata sul riconoscimento di razze “diverse” stigmatizzate come inferiori.

Una visione sfociata progressivamente nei dettami dell’igiene razziale, ovvero di quel processo mirante a "ripulire" la Germania da "razze inferiori". Razze ritenute dannose al suo regolare sviluppo, nonché alla conquista di quello "spazio vitale tedesco", il cosiddetto Lebensraum, di cui la Germania aveva necessariamente bisogno per ampliare le aree agricole essenziali per la razza ariana, al fine di preservarla ed assicurarne il dominio. Nei piani nazisti tale spazio appariva destinato ad ospitare esclusivamente ariani puri.

La salvaguardia della purezza del cosiddetto volkdeutsche, infatti, passava attraverso la soluzione dei problemi relativi alle tre principali etnie presenti all'intero dei territori del Reich. Ebrei, polacchi e zingari dovevano, quindi, essere "cancellati" dal territorio germanico nei tempi e nei modi decisi da Hitler e dal Reichsführer Himmler.

Sorvolando sul trattamento riservato ad ebrei e polacchi, è significativo osservare ciò che accadde alla minoranza zingara.

I Rom rappresentavano, per il Reich, il non plus ultra della regressione umana. Su di loro, sicuramente gravava come un macigno la presunta origine ariana. Un'idea che ad Hitler ed a tutti i teorici dell'arianesimo, suonava come un pesante affronto alla perfezionistiche teorie razziali della superiorità germanica.

La necessità di cancellare l'insulto presentato dall'insostenibile analogia di origini tra Rom ed ariani, contribuirà notevolmente ad acuire l'odio ed il disprezzo nei confronti di tutto il popolo zingaro.

Per aumentarne la percezione negativa e favorire la tesi dello zingaro come "ariano decaduto" (Boursier, 1996, pag. 30), gli scienziati nazisti decisero di aggiungere, alla connotazione di inferiorità, un ulteriore parametro discriminante: la pericolosità sociale.

Nel caso della minoranza Rom il problema razziale andava a coincidere con quello sociale; già etichettati come diversi ed asociali, gli zingari, per usare le parole di Michael Zimmerman, uno dei più importanti studiosi dell'olocausto Rom, "si trovarono dunque presi nel mezzo fra antropologia razziale ed igiene razziale" (Zimmerman, 1995, pag. 3) schiacciati un destino ormai sempre più vicino alla sua "soluzione finale".

Il principale protagonista di questa accurata opera di distruzione scientifica sarà, su tutti, Robert Ritter.

Riprendendo studi del 1937 di Otto Finger e Wilhelm Kranz, ma soprattutto di Hermann Dichele, Ritter si prodigò nel dimostrare la naturale propensione degli zingari all’asocialità ed all’ozio. Caratteristiche dannose che non potevano più essere tollerate e che pertanto, come lo stesso Ritter ebbe modo di scrivere in una delle sue relazioni di lavoro, prefigurarono "la necessità di accelerare l'individuazione e la schedatura delle stirpi zingare e dei gruppi meticci al fine di predisporre al più presto le basi per le necessarie misure da prendere" (cfr. Ritter, 1939).

Per perseguire il suo obiettivo, il medico tedesco tenterà di isolare il significato tradizionale di ziganità.

L’intenzione reale di un simile studio non era votata ad alcun presupposto scientifico. Ciò che Ritter cercava era solo un ulteriore pretesto per rafforzare le strategie liquidatorie del Reich. I criteri per discriminare gli zingari puri dagli zingari impuri o meticci si ricondussero essenzialmente, a conclusioni di carattere genealogico, a considerazioni relative al grado di conoscenza del Romanès ed all'osservazione delle usanze tradizionali tramandate nei secoli.

Dopo aver studiato, fino a tutto il 1944, un campione di circa 30.000 Rom, il medico tedesco giunse alla conclusione che non esistevano più zingari puri, ma soltanto "poveri primitivi, senza storia e privi di cultura" (Ritter cit. in. Zimmerman, 1995, pag. 5). Sulla maggioranza di queste perizie (redatte fino al 15 novembre del 1944) Ritter annotò la sigla "evak.", ovvero evacuato, il che nel linguaggio nazista significava trasferimento o, peggio ancora, deportazione e liquidazione in un campo di concentramento.

Nell'articolo dall'eloquente titolo Die Zigeunerfrage und das Zigeunerbastardproblem (La questione zingara ed il problema degli zingari meticci - N.d.R.) pubblicato nel 1939 sulla rivista medica Fortschritte der Erbathologie, Ritter ribadisce come gli attuali depositari di quella mitica e romantica razza andavano oramai considerati soltanto come: “un miscuglio creato dai rapporti degli zingari con gli elementi deteriori di diversi popoli e razze dell’Asia sud-occidentale e dell’Europa sud-orientale. La stragrande maggioranza degli zingari non è altro che Lumpenproletariat di meticci zingari, che ha ben poco a che fare con gli zingari autentici” (Ritter, 1939 a, pag. 4).

Pur riconoscendo una loro forte coscienza di razza ed un solido sentimento di appartenenza, Ritter denunciava la refrattarietà al cambiamento ed alla trasformazione dell'ormai tarata razza zingara. Una condanna sancita nel 1938 quando il medico nazista pronuncerà quella che suonerà come un'autentica sentenza di morte per i Rom ritenuti, oramai, al 90 per cento meticci inferiori (Ritter, 1938, pag. 77).

Il solo sistema di "regolarizzare" e "contenere" tale minoranza poteva essere il processo di sterilizzazione, la cosiddetta zukunftslos.

Visto come unico mezzo per “impedire l’ulteriore propagarsi di generazioni asociali e criminali” (Ritter 1940, pag. 210), appariva come una panacea ottimale per risolvere la spinosa “questione zingara” e garantire “la separazione definitiva della stirpe gitana dalla stirpe germanica” (Boursier, 1996, pag. 29).

Se si fosse riusciti a sterilizzare tutti gli individui di una certa razza, secondo Ritter, la riproduzione della stessa sarebbe stata impedita per sempre ed il problema della purificazione razziale definitivamente risolto.

Con l’incondizionato appoggio della scienza, la strada alla cosiddetta “soluzione finale” appariva ormai spianata.

Con il termine "soluzione finale", in tedesco endlsung, si voleva indicare il piano tedesco di sterminio per tutti gli ebrei ed asociali d'Europa.

Il termine fu usato per la prima volta dai gerarchi nazisti alla Conferenza di Wannsee, presso Berlino, il 20 Gennaio 1942.

Tappa di assoluta importanza verso la realizzazione di una simile tragedia è l’8 dicembre del 1938. In questa data si colloca il varo, per mano del Reichsführer Heinrich Himmler, di un decreto fondamentale nella storia dello sterminio zingaro.

Noto come zigeunererlass, il provvedimento riguarderà, per la prima volta, esclusivamente la “razza zingara”, suddivisa in zingari nazionali e stranieri.

Mentre per questi ultimi veniva espressamente vietato l’ingresso in territorio tedesco, per i primi diventava possibile, attraverso una lunga serie di acrobazie burocratiche, ottenere documenti e carte d’identità eccezion fatta per il porto d’armi.

La parte più drastica di tale ordinanza è rappresentata dall’opzione obbligatoria per tutti i cittadini zingari tra sterilizzazione ed internamento.

La “prevenzione della criminalità” si muoveva in un’unica, cinica, direzione: l’annientamento.

Una linea di condotta che attuava, in maniera impeccabile, le richieste della circolare della RKPA, del 4 aprile 1938 in cui si ribadiva che mendicanti, alcolizzati, omosessuali, prostitute e zingari non dovevano recare alcun danno alla comunità tedesca. (cfr. Karpati, 1993, pag. 40). Una comunità di popolo, quella nazista, esclusivamente riservata al volkdeutsche e da cui andavano categoricamente esclusi tutti quegli elementi ad esso opposti. Elementi che per essere più facilmente combattuti venivano investiti del ruolo negativo di capro espiatorio, vero obiettivo predeterminato del malcontento popolare.

L’escalation verso lo sterminio era ormai inarrestabile.

Nel 1939 Reinhard Heidrich, per ordine dello stesso Hitler, vara il cosiddetto “editto di insediamento”, in base al quale tutti gli zingari vengono obbligati a risiedere in campi di abitazione, appositi quartieri-ghetto collocati nelle periferie cittadine.

Il 7 ottobre del 1939 Himmler riceve il titolo di Commissario del Reich per il rafforzamento della nazione tedesca. Di sua piena competenza, diventano i trasferimenti delle cosiddette popolazioni “indesiderate”.

Un potere successivamente amplificato da parte del Ministero della Giustizia Otto Thierack che delegò allo stesso Reichsführer la giurisdizione su polacchi, ebrei, russi e zingari, vale a dire tutte le principali minoranze dell’impero nazionalsocialista.

La premessa alle deportazioni è, però, contenuta nel provvedimento del 17 ottobre 1939 n.149 della più volte citata RKPA.

Il cosiddetto “Decreto di stabilizzazione” annunciava che: "per ordine del Reichsfhürer SS e Capo della polizia tedesca in breve tempo e su tutto il territori tedesco sarà risolto alla radice il problema zingaro secondo i criteri del Reich" (Reich dokumente 1939, cit. in. Fings - Heuβ - Sparing, 1998, pag. 34).

Il provvedimento imponeva a tutti i Sinti e Rom del Reich il divieto assoluto di lasciare il luogo in cui si trovavano.

Nei giorni compresi tra il 25 ed il 27 ottobre si doveva procedere al loro censimento, contemporaneamente gli uffici di polizia dovevano predisporre i campi di raccolta necessari per i successivi trasferimenti e mettere a disposizione, durante il trasporto, personale di custodia, mezzi, ed assistenza.

La prima deportazione "ufficiale", espressamente richiesta dal Reich avviene il 27 aprile del 1940 quando, seguendo una direttiva del decreto VB n.94/40, si disponeva il trasferimento forzato degli zingari "in stirpi chiuse" (Fings - Heuβ - Sparing, 1998, pag. 34) nel cosiddetto Governatorato generale, cioè la Polonia occupata.

Una deportazione priva della benché minima attenzione promessa nel decreto di stabilizzazione, capace di portare in territorio polacco circa 2.800 zingari provenienti da ogni parte di Germania.

Lo spaesamento e l’illusoria sensazione di provvisorietà di una simile esperienza svaniva definitivamente nel maggio del 1941 con l’emanazione del Liquidierungsbefehl, l’ordine di liquidazione, che disponeva: “l’uccisione di tutti gli indesiderabili dal punto di vista razziale e politico, in quanto pericolosi per la sicurezza” (Karpati, 1993, pag. 43).

Quattro le categorie elencate nella categoria “indesiderabili”: funzionari comunisti, asiatici inferiori, ebrei e zingari.

Himmler, intanto, continuava ad inseguire il progetto di individuare gruppi zingari puri da proteggere e "conservare" in modo da garantire, a suo dire, una prova lampante dell’esistenza di uno degli stadi evolutivi più bassi della razza umana.

In tal senso si inserisce il decreto V AZ 2260/42 del 13 ottobre 1942 secondo cui i Sinti ed i Lalleri puri avrebbero dovuto emigrare in un luogo ben determinato, in modo da poter vivere secondo i loro usi e costumi svolgendo le attività tradizionali (Decreto V AZ 2260/42 cit. in. Karpati, 1993, pag. 44).

In questa ottica si colloca il provvedimento denominato Auschwitzerlass del 16 dicembre 1942. Una legge arrivata quando tutto sembrava pronto per il trasferimento di nuclei Rom nella "riserva" di Odenburg che prescriveva il totale internamento degli zingari senza alcuna considerazione in merito alla loro presunta o effettiva "purezza razziale".

Dall'Auschwitzerlass alla diffusione a macchia d’olio dei campi di concentramento, il passo fu piuttosto breve.

Nei lager gli zingari venivano deportati a nuclei familiari completi, unica, concessione al grande senso di unità familiare presente nella cultura Rom.

La loro “razza” veniva contraddistinta dalla “Z” di zigeuner (zingaro) tatuata sul petto o incisa su di un bracciale o, in altri casi ancora, dal triangolo nero, simbolo di asocialità.

Auschwitz, Dachau, Mathausen, Ravensbrük, Buchenwald, Natzweiller, sono solo alcuni dei campi di concentramento dove migliaia di Rom, di ogni sesso ed età, persero tragicamente la vita.

Campi in cui la brutalità e la crudeltà, toccarono livelli inauditi.

Particolarmente spaventosa la fine dello zingaro Louis Simon nato a Perigeux, in Francia, e deportato a Buchenwald cui fu staccata la pelle ornata di vistosi tatuaggi per poi essere usata come rivestimento per una poltrona (Arlati, 1997, pag. 31).

Con l’avvento della “Grande Germania” ed il dilagare della follia hitleriana, il lager e la deportazione “si configurano sempre più chiaramente come azioni deliberate di genocidio.” (Karpati, 1993, pag. 44).

La soluzione finale della questione zingara viene decretata ufficialmente il 29 gennaio 1943, quando Himmler vara il decreto V. A. n.59 postulante l’ordine di internamento ad Auschwitz “di meticci zingari, di zingari Rom e di zingari dei Balcani in un campo di concentramento” (V. A. n.59/43 g cit. in. Boursier – Converso – Iacomini, 1996, pag. 73).

Tuttavia tale provvedimento non rappresenta l'inizio delle deportazioni.

Già il 5 giugno 1939, con il decreto I A 2d, la RKPA, si prescriveva per 3000 zingari renitenti al lavoro, suddivisi rispettivamente in 2.000 uomini e 1.000 donne, l'internamento nei campo di lavoro di Dachau e Ravensbrück.

Inoltre, dopo la cosiddetta Anchluss, l'annessione austriaca al Terzo Reich, venne creato a Salisburgo, in attuazione dello zigeunererlass, nel 1939, un campo di lavoro forzato per soli zingari.

Il campo, ricavato nelle scuderie di un ippodromo, rappresentava per Salisburgo e per i suoi rinomati ambienti culturali e mondani, un peso insostenibile.

L’adozione di una soluzione alternativa si rese assolutamente necessaria anche in considerazione della necessità di dover liberare l'area dell'ippodromo doveva entro il 10 settembre del 1940.

Il decreto di Auschwitz del 1942 si rivelò, in tal senso, provvidenziale per la città austriaca che in brevissimo tempo si vide liberata di tutti i 300 zingari compresi nel campo.

La maggior parte fu inviata ad Auschwitz, mentre un ristretto numero fu dirottato nell'altro campo austriaco di Lackenbach.

Sia per quanto riguarda Dachau che per Salisburgo e Lackenbach, la deportazione non rappresentava ancora il preludio allo sterminio.

Un'analogia divenuta sempre più forte, invece, nel lager polacco di Auschwitz, unanimemente considerato come il campo di concentramento per antonomasia, sia per la sua durezza che per le sue ragguardevoli dimensioni. Un'estensione territoriale che richiederà, nel rispetto del già citato decreto V. A. n.59/43, l'apertura nel vicino territorio di Birkenau, di una nuova sezione, la B 2 e, destinata esclusivamente agli zingari.

Nasce così lo zigeunerlager, letteralmente il "campo zingaro", che per oltre sedici mesi, ospiterà esclusivamente prigionieri zingari.

L’ideazione di questo campo speciale ha riaperto negli storici una vecchia polemica relativa alla effettiva "intenzionalità" di Hitler ed i suoi gerarchi di dar vita alla ferocia dell'olocausto zingaro.

Christopher Browning nella sua recente raccolta di saggi intitolata Verso il genocidio (cfr. Browning, 1988) cerca di mettere ordine in questa diatriba, individuando tra la schiera degli intenzionalisti, sostenitori della premeditazione, e dei funzionalisti, portavoce di un olocausto funzionale alle necessità egemoniche del nazismo, una terza via che può far luce anche sull'insolito caso dello zigeunerlager.

Browning pone la sua attenzione sul vasto insieme di contraddizioni ed incertezze che hanno caratterizzato l'intera esperienza hitleriana. Un’esperienza che, seppur dominata dall'odio e dal disprezzo verso ebrei e zingari, non ha mai concepito la loro eliminazione come punto imprescindibile per la realizzazione ed il trionfo del Terzo Reich. Un eliminazione che, ad un certo punto, è divenuta però funzionale agi scopi egemonici di Hitler, ed è degenerata nella violenza genocidaria.

La tesi di Christopher Browning, si pone, dunque, a metà strada tra la prospettiva intenzionalista e quella funzionalista.

Si tratta di una teoria che trova conferma in quei casi di "politica della ghettizzazione", ancora lontani dall'ottica liquidatoria della soluzione finale.

I quartieri ghetto degli ebrei e, successivamente, la concezione dello stesso zigeunerlager, sembrano in tal senso eloquenti.

Per i Rom, inoltre, deve essere sempre considerata l'intenzione di Himmler di portare avanti il discorso relativo alla salvaguardia dello zingaro puro.

Convinto sostenitore dello zingaro come emblema di una razza “sui generis”, meritevole di svariate sperimentazioni in qualità di “ariano decaduto”, il Reichsführer in un comunicato al medico primario delle SS, Grawitz, faceva notare che: "poiché in parte gli zingari sono di composizione razziale spuria, potrebbero fornire risultati non immediatamente trasferibili sui nostri uomini. E’ pertanto opportuno mettere a disposizione degli sperimentatori prigionieri che siano quanto più possibili vicini alle stirpi europee…(Himmler cit. in. Kenrick – Puxon, 1975, pag. 195).

Il messaggio che si evince da simili dichiarazioni si riconduce ad una espressa volontà di “conservare” alcuni zingari per studiarli in qualità di antenati della razza ariana.

A conferma di questa visione non immediatamente liquidatoria si inserisce la teoria di Giovanna Boursier, secondo la quale gli zingari non erano, almeno all’inizio, destinati alla soluzione finale, ma rientravano in un ampio progetto di sperimentazione, per capire cosa si potesse fare di altre razze qualora fosse continuata l’espansione tedesca. (Boursier, 1996, pag. 33).

Un’idea, quella della “conservazione dei Rom”, portata avanti anche da Guenter Lewy.

Secondo Lewy c’è sempre stata una notevole indecisione nei gerarchi nazisti tra l’effettiva volontà di sterminio ed una possibile via di salvezza per tutti quegli zingari in grado di dimostrare antiche radici ariane. Questi ultimi rappresentavano un enorme potenziale per la scienza nazista capace di fornire, nel lungo periodo, conclusioni lontanamente rapportabili all’originario ceppo tedesco.

In questa visione incentrata su di una sorta di non-intenzionalità dello sterminio dell’etnia Rom, Lewy argomenta l’effettiva ed innegabile degenerazione genocidaria come una sorta di conseguenza provocata da una pressante esigenza di “liberare spazio” a nuovi prigionieri ebrei (cfr. Lewy 2002).

Per molti ziganologi, però, queste teorie non hanno grande credibilità.

Lo sterminio degli zingari risultava una realtà chiara sin dall’inizio. A dimostrarlo, oltre alle pratiche criminali di sterilizzazione ed internamento da sempre presenti nell’ideologia nazista, si inserisce anche la riflessione relativa al campo di destinazione principale della maggior parte dei Rom internati: Auschwitz.

Il nome Auschwitz, emblema del disprezzo nazista per il genere umano, è diventato con il tempo il simbolo del genocidio ebraico. Tuttavia anche per gli zingari ha un significato importante. Qui si sono verificati orrori di ogni genere condotti con violenza e ferocia nel già ampiamente citato zigeunerlager.

Il protagonista indiscusso di questa macabra pagina del lager fu il tristemente noto dottor Josef Mengele, probabilmente il più visionario e crudele di tutti i “medici della morte” nazisti.

Ma circoscrivere lo sterminio dei Rom agli orrori dei lager sarebbe, tuttavia, inesatto.

La liquidazione zingara non ebbe luogo solo negli infernali scenari dei campi di concentramento, ma abbracciò altre forme di tortura non meno violente e sanguinarie.

In Polonia, oltre che nei terribili campi di concentramento (su tutti Auschwitz e Belzec), gli zingari venivano trucidati per strada, nei boschi o in aperta campagna. In Slovacchia intere famiglie venivano rinchiuse in capanne e date alle fiamme dai gruppi fascisti.

In Ucraina, Ungheria e Romania le violenze si concentravano in fucilazioni ed esecuzioni sommarie. In Jugoslavia, le persecuzioni erano condotte dagli Ustasha croati che operarono veri e propri raid assassini. (cfr. Arlati, 1997 a, pag. 31).

Progressivamente i Rom diventano la preoccupazione principale di numerosi governi.

Agitatori e incendiari nati, gli zingari potrebbero far nascere un pandemonio” (Kenrick – Puxon, 1975, pag. 190). E’ all’insegna di un simile monito che uomini, donne e bambini Rom verranno barbaramente assassinati in tutta Europa. Un’inarrestabile spirale di violenza perpetrata nella più totale e disarmante indifferenza generale.

Con il genocidio zingaro, infatti, si è paradossalmente realizzato quel progetto di “sterminio silenzioso” propugnato dalla maggior parte dei nazisti.

Si sono create, cioè, tutte le condizioni affinché l’uccisione di oltre cinquecentomila Rom, venisse con il tempo dimenticata.

Una prospettiva aberrante, macabramente confermata dalle profetiche parole di Heinrich Himmler, pronunciate davanti ai capigruppo SS a Posen il 4 ottobre 1943, in un discorso segreto sul concetto di Olocausto:

La maggior parte di voi sa – affermava il reichsführer – che cosa significa un mucchio di cento cadaveri, di cinquecento, di mille cadaveri. Aver sopportato tutto ciò e, fatta astrazione di umane debolezze, essere rimasti persone decenti, è ciò che ci ha resi duri. Questa è una pagina gloriosa della nostra storia che non è mai stata scritta e non sarà mai scritta…” (Nürnberger dokumente PS-1919 cit. in. Bracher, 1973, pag. 565).

In un’indagine complessiva su quello che è stato lo sterminio degli zingari non è possibile non ricordare come la spinosa "questione zingara", non rappresentò un problema esclusivo del Terzo Reich.

In diverse nazioni d'Europa, sia sul versante occidentale che su quello orientale, la convivenza con l'etnia zingara sarà scandita dai macabri ritmi delle persecuzioni e delle violenze razziali.

In molti casi si tratta di un diretto prolungamento della volontà del Reich, come ad esempio nel caso dei territori occupati, o di un loro maldestro tentativo di imitazione, come accaduto in Italia.

In altre occasioni, si scopre, invece, come il problema zingaro risulti addirittura antecedente ai provvedimenti nazisti. E' il caso della Francia, autentico precursore nella persecuzione zingara.

Persecuzione non limitata dunque ai confini tedeschi, ma estesa in molte altre nazioni europee. Come per gli ebrei le nazioni allineate con Hitler adottarono le medesime strategie liquidatorie. Come per gli ebrei il numero delle vittime salì in modo vertiginoso. Analogie che si arrestano davanti a quello che è stato il riconoscimento storico del dramma.

"Gli Ebrei hanno acquisito grandi meriti nella vita spirituale e culturale in Germania: dalla musica al cinema alla fisica e alla filosofia. E' una grande perdita per noi tedeschi e per la Germania (...) Non comprendiamo perché i nazisti hanno ucciso anche Rom e Sinti. Erano poveri, non erano nemici e non danneggiavano nessuno. Non si occupavano di politica. Peccato, veramente peccato" (cfr. Djuric, 1998, pp. 5 - 7). Questo è uno stralcio di una delle tante dichiarazioni raccolte in Germania dall’allora presidente della Romani Union, Rajko Djuric per valutare le impressioni tedesche sull'olocausto zingaro.

Generalmente, sono parole di riconciliazione e rammarico che, però, come in questo caso, celano una sostanziale ambiguità di fondo. Djuric ricorda come la cenere di Auschwitz viene spesso pesata con pesi che portano la scritta 'utile' invece che con criteri etici e verità storiche. (Ibidem).

L’intento principale di queste parole è quello di voler esprimere una convinzione sempre più consolidata dal corso della storia.

Michael Zimmerman, profondo conoscitore degli eventi legati all'olocausto ebraico e, soprattutto, a quello zingaro, ricorda, a tale proposito, come nella storia ci siano pagine che non si raccontano; non perché manchino dati specifici, ma semplicemente perché si preferisce tacerle (Zimmerman cit. in. Boursier, 1998). L'olocausto zingaro è sicuramente una di queste.

Nelle sentenze del processo di Norimberga, apertosi ufficialmente il 18 ottobre 1945, gli zingari vengono nominati soltanto sporadicamente in poche righe della sentenza finale. Il tutto pur considerando l’elevato numero di testimonianze chiare ed inequivocabili, delle molteplici atrocità subite nei lager dalla comunità Rom.

Un errore di valutazione, forse, che alimenterà in Germania la predisposizione alla negazione dell'olocausto zingaro. Una negazione motivata, fondamentalmente, da una questione spinosa e controversa identificabile nel problema degli indennizzi dovuti alle vittime.

La Convenzione di Bonn del 1949, costringeva la Germania ad assumersi le proprie responsabilità verso i popoli perseguitati, attraverso il pagamento di consistenti risarcimenti alle vittime.

La continua negazione della "questione zingara" ha permesso alla Germania, di risparmiare ingenti somme di denaro destinate successivamente alla ricostruzione del paese.

La protesta dei superstiti e dei loro familiari non si fece però attendere e, già nel 1950, la zingara Anna Eckstein avanzò una richiesta di risarcimento davanti all'ex SS Leo Karsten.

Karsten negando di aver mai incontrato la Eckstein vanificò il tentativo. Stessa sorte per Alvin W., deportato ad Auschwitz e Erik Balasz, internato a Ravensbrück, che si videro motivare la loro deportazione come adempimento di provvedimenti di sicurezza e polizia, non riconducibili, quindi, ad alcun risarcimento.

Il continuo aumentare delle richieste di risarcimento portò la Corte Suprema tedesca ad adottare, nel 1956, un provvedimento a dir poco discutibile, che suonò come un'ulteriore beffa per i Rom perseguitati del nazismo.

Suddetto provvedimento, infatti, divideva la prigionia degli zingari in due fasi, configurando il reato della deportazione, e quindi i relativi risarcimenti, soltanto a partire dal marzo del 1943.

Considerando che la persecuzione degli zingari, durante il regime nazista, risale almeno al 1937 (anno dei primi arresti condotti da Himmler) l'aberrazione giuridica appare quanto mai evidente.

Ovviamente il disegno sortì effetti esattamente contrari a quelli desiderati e le richieste di risarcimento di zingari indignati aumentarono a dismisura, finendo con il favorire, nella prima metà degli anni sessanta l'abolizione del provvedimento.

L'olocausto zingaro, con la morte degli ultimi sopravvissuti e le rinunce di parenti ormai demoralizzati, rimase, tuttavia, in un profondo limbo adimensionale.

Un oblio destinato a durare a lungo e che s'interromperà soltanto nell'aprile del 1980 quando, di fronte ad un esauriente documentazione stilata da diverse organizzazioni zingare, storici e giuristi, il governo tedesco si vide costretto a riconoscere ufficialmente l'esistenza di un olocausto zingaro e di una persecuzione razziale sotto il regime nazista.

Arrivarono così i primi indennizzi, i primi risarcimenti e le prime restituzioni. Gioielli, monili, carrozzoni, appartamenti e strumenti musicali tornarono ai loro legittimi proprietari o eredi.

Il governo tedesco s'impegnò nella distribuzione di riparazioni e concessioni badando bene, però, di non perdere mai di vista il carattere singolo ed individuale di ciascun risarcimento. Nessun tributo, morale o materiale, è stato, infatti, conferito alla comunità Rom nella sua totalità se non una serie di monumenti eretti nei principali campi di concentramento del Terzo Reich.

Sculture fiere ed imponenti che rappresentano, ancora oggi, l’unico riconoscimento concreto verso la sofferenza di un popolo condannato ad essere nei secoli scomodo.



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